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Cento canzoni di cui parlare. Le Passanti di De Andrè e Bressens e quella di Guccini.

[025/100]

Torniamo su Fabrizio De Andrè.
Inevitabilmente ci verrebbe da dire ma in realtà grazie a contingenze artistiche, visto che, in occasione di una call espositiva proporremmo nei prossimi giorni un nostro omaggio fotografico a questo capolavoro poetico di Georges Brassens tradotto in Italiano da Faber.

File source: http://commons.wikimedia.org

Il cantautore genovese aveva un’enorme stima per il francese, così enorme che non lo volle mai incontrare per paura di rovinare l’idea che aveva di lui,  non voleva cioè restare deluso dall’incontrare un proprio “idolo” cosa che in queste occasioni succede non di rado.
L’aneddoto rende bene l’idea della diversità dei tempi e degli ambienti culturali di allora, e se  pensiamo ai dissing (sic) fra gli artisti di oggi riteniamo normale diventare nostalgici.

Fatto sta che De Andrè spesso ha preso spesso spunto dalle canzoni di Brassens; a volte in maniera appena accennata come in Bocca di rosa altre (come in questo caso e per Il Gorilla) traducendo il testo in modo quasi letterale.

Però.
La voce di De Andrè è come il mare. Immensa e indefinibile. Sai perfettamente com’è ma ogni volte che ci torni ti incanta. Ed è inutile quindi specificare quale versione preferiamo. Chiediamo scusa a George e speriamo di fare ammenda con le foto che abbiamo scelto scattate sull’Avenue des Champs Elisées. 

Per definire le immagini regalate dai due poeti in questa canzone forse non basterebbero tutti gli aggettivi che la nostra lingua ci mette a disposizione.
Le scene descritte ti sembrano così reali da averle vissute direttamente; ed inevitabilmente le considerazioni sempre più malinconiche ti strappano una parte del cuore e te la mostrano davanti ai tuoi occhi.

Qualcuno disse che il compito del poeta è solo quello di produrre arte; quello che sembra leggendo queste strofe/rime è che invece Bressens e De Andrè un compito preciso se lo fossero dati eccome: quello di permetterci di rivivere per sempre, ascoltando le loro canzoni, tutti quegli attimi della nostra vita che altrimenti andrebbero nell’oblio, travolti dai ritmi quotidiani del lavoro e delle altre vicissitudini.

E alla fine del pezzo, dopo aver rivisto i nostri treni, i nostri balconi e i nostri sorrisi,  ci è tornata in mente per pura assonanza poetica, un’altra passante della musica italiana che ci permettiamo qui di citare.
La ragazza dietro al banco che mescolava birra chiara e seven up descritta nella meravigliosa Autogrill  da Francesco Guccini. Tra l’altro unico personaggio del poeta/cantautore bolognese totalmente immaginario.


Ci permettiamo di associarla perché Guccini e De Andrè avevano un enorme stima l’uno dell’altro ed è dura per noi stabilire chi preferiamo dei due.
Ma perché poi bisogna per forza scegliere? A cosa servono le classifiche di gradimento? A chi servono? Non possiamo semplicemente amare ciò che amiamo senza stabilire cosa sia meglio, che poi inevitabilmente cambieremmo risposta dopo poco pentendoci della scelta?

Meglio, molto meglio, pensare alle nostre chimere che tracciamo con un dito dentro i cerchi del bicchiere, in un vuoto di felicità o in un’attesa inconsapevole di quell’attimo che come accade spesso cambia il volto ad ogni cosa e ci spinge ad andarcene lasciando un nichel di mancia, mentre ci convinciamo che sia stata pazzia pensare di aver capito l’altrui malinconia e restiamo così con immagini care per degli istanti da tirar fuori quando faremo i conti con le nostre passanti.

Fabrizio De Andrè – Le Passanti 

Io dedico questa canzone
ad ogni donna pensata come amore
in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non c’era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più.

A quella quasi da immaginare
tanto di fretta l’hai vista passare
dal balcone a un segreto più in là
e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità.

Alla compagna di viaggio
i suoi occhi il più bel paesaggio
fan sembrare più corto il cammino
e magari sei l’unico a capirla
e la fai scendere senza seguirla
senza averle sfiorato la mano.

A quelle che sono già prese
e che vivendo delle ore deluse
con un uomo ormai troppo cambiato
ti hanno lasciato, inutile pazzia,
vedere il fondo della malinconia
di un avvenire disperato.

Immagini care per qualche istante
sarete presto una folla distante
scavalcate da un ricordo più vicino
per poco che la felicità ritorni
è molto raro che ci si ricordi
degli episodi del cammino.

Ma se la vita smette di aiutarti
è più difficile dimenticarti
di quelle felicità intraviste
dei baci che non si è osato dare
delle occasioni lasciate ad aspettare
degli occhi mai più rivisti.

Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere.

 

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