Di Elvis ne parlerò probabilmente. Prima o poi.
Ma dopo l’indiscusso Re del Rock’n Roll da cui nasce tutto (o quasi) ciò di cui stiamo parlando in questa avventura musicale, c’è lui.
James Douglas Morrison (Jim per il mondo intero) e i suoi The Doors.
Detto il Re Lucertola per la sua passione sciamanica o anche Mr Mojo Risin’ come usava lui stesso anagrammarsi quando andava per le sue strade più oscure, in soli cinque anni di attività musicale (dal 1965 al 1971 quando entra nel famigerato club dei 27 in circostanze mai chiarite e alimentate da decine di leggende urbane) ha lasciato un impronta indelebile sul mondo e nelle vite di miliardi di adolescenti fino ai nostri giorni.
Una bruttissima impronta stando alle cronache giudiziarie di allora: numerosi arresti di cui i più famosi sono quelli per atti osceni sul palco; poi ubriachezza molesta, risse, sesso con minori, amici lasciati nel deserto… ma si sa, quando un artista muore è tutto perdonato, se invece resta in vita gli fanno scontare tutto, anche quello di cui non ha colpa.
Dato che Jim si levò di torno molto presto da questa Terra, ricongiungendosi ai corpi astrali dei suoi sciamani, da decenni è celebrato e venerato da tutti.
Anche i benpensanti più reazionari non negano di aver sempre apprezzato, nelle discoteche più fighette del paese, il momento in cui inevitabilmente dalle casse arrivava l’annuncio “Ladies and Gentleman, from Los Angeles California… The Doors!” e l’inconfondibile riff di Roadhouse Blues trasformava ogni pista da ballo in un rodeo di salti e spintoni (Per l’introduzione ci riferiamo ovviamente alla versione live contenuta in “An american prayer” del 1978).
Era il momento in cui ci si lasciava andare, come arrivavano quelle parole, fosse anche nelle feste private dei pariolini, anche chi era il più secchione della classe lo trovavi a bere la coca cola con l’aspirina sperando nelle allucinazioni (lo sappiamo era una leggenda urbana) o molto più realisticamente i sedicenti cocktail analcolici in cui la vodka era stata aggiunta da mani goliardiche in pieno stile Animal House.
E non serviva conoscere l’inglese per sapere che Jim stava urlando a squarciagola “Mi sveglio la mattina e bevo una birra/ perché il futuro è incerto e la fine è sempre vicina!“. Era quel ritmo forsennato a spingerti a ballare, erano le immagini viste su MTV o quelle foto sulle riviste che mostravano quel capellone, troppo bello per essere vero, portato via dalla polizia con il suo riso sbeffeggiante.
Non è un caso se il ribelle George Best, l’irlandese che portò il Manchester United a vincere la sua prima coppa campioni(1967/68), in piena Beatles-mania dichiarava la sua lontananza dai baronetti e il suo amore incondizionato per i Doors. C’è da dire, che anche quel capellone del Best fu uno che riuscì a devastarsi non uno ma due fegati con l’alcool (“Se non fosse esistito il whisky nessuno parlerebbe di Maradona” – cit. Rino Tommasi) morendo comunque per cirrosi epatica dopo il trapianto di fegato. Quella che a tutti gli effetti era una perenne ricerca di autodistruzione, con quelle bottiglie di Southern Confort sempre presenti in ogni filmato di Jim, la poteva ben comprendere l’irlandese di Manchester.
La rabbia della ribellione giovanile segue sempre le solite strade: il fascino per chi va oltre al limite, lo sfogo che ti da lanciarti in sfide assurde, con i motori o peggio. Cose che se le venivano a sapere i tuoi ti avrebbero chiuso in cantina e buttato via le chiavi; ci siamo passati tutti. Chi più, chi meno.
Ma ad ogni modo Jim Morrison è stato il primo della versione moderna dei poeti maledetti ad incarnare quella rabbia appieno fino alla fine.
(Brucia, brucia la candela / brucia dai due lati / brucia prima / di una luce un po’ più viva, e di più. – Ligabue, “Un figlio di nome Elvis”).
La sua fine. Trovato nella vasca da bagno senza vita e senza ragione apparente, a Parigi dalla sua Pamela Courson a soli 27 anni, che solo a pensare a quante poesie avrebbe potuto ancora regalarci viene da piangere, in un periodo in cui dicono avesse cominciato a trovare un po’ di tranquillità e poche settimane dopo l’uscita di L. A. Woman, l’ultimo album dei Doors in cui è contenuta Riders on the storm, per l’appunto.
Quello che succede ancora oggi al cimitero di Perè Lachise, con un continuo pellegrinaggio verso la sua tomba, sempre ricoperta di fiori freschi non è certo una leggenda urbana, ma una fonte di ispirazione per chiunque voglia scrivere due righe in rima o in prosa.
Se tutto questo non fosse stato sufficiente a fare del Re Lucertola un mito anche per la mia generazione ci pensò Oliver Stone con il suo film “The Doors” a rinverdire e a rilanciare ciò che era già oltre i confini del mito.
Per sintetizzare l’opera del regista: meravigliosa pellicola, pessima biografia. E non stiamo ad elencare i tanti perché, però Val Kilmer nei panni di Jim fu di una bravura e di una somiglianza pazzesca. Tanto è vero che si trovano sovente foto di Val a corredo di articoli che parlano di Jim.
Una fortuna per la sua carriera d’attore ma non troppo, perché già lanciatissimo com’era dai ruoli avuti su Top Gun e Willow faticò non poco ad uscire psicologicamente dalle vesti del Re Lucertola.
I Doors non erano solo Jim Morrison, Robbie Krieger e John Desmore erano ottimi musicisti e Ray Manzarek all’organo Hammond è leggendario… e ci hanno provato ad andare avanti (anche litigando per i diritti) ma l’assenza di Jim era davvero troppo ingombrante per far apprezzare qualunque cosa promuovessero con il nome “The doors”.
Restando al loro ultimo album nella formazione originale, che a nostro giudizio è l’apice della loro vena artistica, lì Riders on The Storm ci appare come un diamante incastonato in un anello d’oro.
Ipnotico, suadente, immortale. Un pezzo che non potevamo mai smettere di sentire e allora, stanchi di dover premere continuamente il tasto del rewind sulla nostra autoradio risolvemmo la questione in modo radicale. Avevamo allora a disposizione una coppia di giradischi Technics collegati al mixer e due copie di L. A. Woman, così pensammo bene di registrarci una cassetta da 90 minuti con una versione infinita di Riders on the storm. Ci consentì di farlo in modo abbastanza semplice il doppio effetto pioggia, all’inizio e alla fine del pezzo. Al tuono sul finale facevamo ripartire l’altra copia con il pezzo da capo e voilà. Per 90′ minuti interi, in interminabili viaggi sui treni o in macchina, eravamo cavalieri nella tempesta.
Il pezzo era immortale, noi no. Comunque fummo abbastanza fortunati da sopravvivere a quell’età.
A pensare che il manager Paul Rothchild li abbandonò poco prima di quel disco e definì sprezzantemente questo pezzo meraviglioso come “musica da cocktail”; evidentemente era stanco di gestire rockstar vive e andò a produrre Pearl, ovvero l’album postumo di Janis Joplin, sfruttando la popolarità dovuta alla sua morte del 1970. Soldi facili.
Janis! Club dei 27 anche lei, come Jimi Hendrix morto nello stesso anno, mentre Brian Jones, era morto l’anno prima. Gli altri famosissimi appartenenti al club sono Robert Johnson deceduto nel 1938 (a 27 anni ammesso che l’anagrafe fosse attendibile) che risulta essere il primo ad essere entrato a far parte del poco invidiato club (anzi dicono che sia stato il suo presunto patto con il diavolo a scatenare la maledizione). Poi si aggiungeranno nei decenni seguenti Basquiat, Kurt Cobain e Amy Winehouse.
Abbiamo detto famosissimi appartenenti, perché in realtà gli artisti morti a 27 anni sono molti di più, come potrete appurare con macabre ricerche nel web che vi dimostreranno in modo pressoché inconfutabile che tutto ciò non vuol dire assolutamente nulla.
E prendetevi una birra piuttosto perché il futuro è incerto e la fine è sempre vicina.
The Doors – Riders on the storm
Cavalieri nella tempesta
In questa casa siamo nati
In questo mondo siano stati gettati
come un cane senza un osso
o un attore fuori ruolo
Cavalieri nella tempesta
C’è un killer sulla strada
Il suo cervello si contorce come un rospo
Prenditi una lunga vacanza
Lascia giocare i tuoi bambini
Se dai un passaggio a quest’uomo
La dolce famiglia morirà
Un killer sulla strada
Ragazza, devi amare il tuo uomo
Prendilo per mano
Fagli capire
Il mondo dipende da te
La nostra vita non finirà mai
Devi amare il tuo uomo
Cavalieri nella tempesta
In questa casa siamo nati
In questo mondo siano stati gettati
come un cane senza un osso
o un attore fuori ruolo
Cavalieri nella tempesta
Le altre 23 canzoni:
Sornione
Velasquez
L’avvelenata
Time
Il giorno di dolore che uno ha
Heimat
Ci penserò domani
Meri Luis
The chauffeur
Off he goes
Ob-la-di, ob-la-da
The Times they are a changin’ – Things have changed
Rimini
The captain of her heart
The bard’s song
Stay. Faraway, so close
Il mio nome è mai più
Purple rain
Wish you were here
Fottuti per sempre
Canto del vuoto
Love will tear us apart
Curre curre guagliò