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Cento canzoni di cui parlare. The chauffeur

Pubblicato il 15 Feb 2024

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“Viva gli anni ottanta!”
Ma come, se fino a ieri erano la genesi di ogni male, la fine del rock, il trionfo del capitalismo e del consumismo, il trash eletto come stile di vita, il materialismo, gli insopportabili yuppies… e adesso?

“Eh, no dai… il rock mica è morto, anzi negli anni ottanta c’erano gli U2, i Queen, i Simple Minds, i Dire Straits… roba forte”.
Sì, ma questo lo dicevamo noi che eravamo adolescenti in quegli anni.  E ci dicevano che quelli non avrebbero mai potuto allacciare neanche una scarpa ai Led Zeppelin e ai Pink Floyd  (e avevano ragione) e ora vi piacciono?

“No vabbè che c’entra i settanta… però i Pink Floyd  anche negli anni ottanta sono andati forte… e poi dai la moda era bellissima!” 
Bellissima? Lo dite voi che adesso la conoscere con Stranger Things,  ma lo sai cosa cavolo ci siamo dovuti inventare per sopravvivere a quegli idioti dei paninari?  Se non era per Kurt Cobain che ci ha salvato all’inizio dei novanta ancora stavamo lì a pensare se con quella marca di jeans ci avrebbero riso dietro oppure no!

“Ma il cinema era stupendo avete visto il meglio: L’attimo fuggente, Non ci resta che piangere, La Cosa, Guerre Stellari…”
Il cinema era roba da nerd! I ragazzi che volevano essere fighi andavano al cinema solo il giorno di Natale a vedere Ezio Greggio e Massimo Boldi. Il sabato sera, e anche la domenica pomeriggio per rimorchiare le ragazzine che non potevano uscire la sera, se volevi essere figo potevi andare solo in discoteca. E dovevi pure stare attento perché, se provavi ad entusiasmarti troppo per la canzone sbagliata, volavano certe sleppe che neanche al royal rumble del wrestling. Anzi del catch come si chiamava allora.

“Ma va la’ sei esagerato, era un bel mondo. E’ oggi che è andato tutto in rovina!”
Sarà…

Sarà che li ho vissuti gli anni ottanta e penso che non siano stati né brutti né belli. Sono stati semplicemente unici. Come i cinquanta, i settanta, i novanta, gli anni zero, gli anni dieci…
La musica per noi era importante, ma per quale generazione non lo è stata?
Innegabilmente c’è stato un’ammorbidimento del rock, mentre nel contempo c’è stata l’esplosione dell’Heavy Metal, per cui chi non era paninaro era metallaro.
Questo almeno in provincia, certo in una grande città avevi altre scelte… potevi essere punk, dark o ciàina (facevano i paninari iussèi ma l’inglese lo masticavamo male) ma in provincia i gruppi di appartenenza erano o i “panozzi” o i metallari. Ed è forse per questo che in Italia i metallari hanno un’anomala percentuale di simpatizzanti della sinistra.

Ma ad ogni modo, prima della consapevolezza di appartenenza politica o modaiola c’era la musica. E il fenomeno di massa nella musica negli anni ottanta in Italia erano i Duran Duran. All’estero sono stati meno apprezzati (basta vedere le vendite globali dove quasi mai sono fra i primi dieci artisti nelle vendite), ma qui erano ciò che i Beatles erano per la Londra degli anni sessanta.

Su di loro si è detto tutto e il contrario di tutto. Da fenomeni a incompetenti manichini dello show business, dai fasti del successo assoluto di Rio ed Arena ai flop di Big Thing e Liberty in pochi anni. Poi il ritorno-rivincita negli anni novanta con Ordinary World cantata da Pavarotti e gli album fino ad oggi.

Non si possono certo definire meteore come Rick Astley o Nick Kamen ma neanche un esempio di continuità decennale come gli U2; però non voglio fare in questa rassegna una loro analisi artistica, voglio parlare solo delle canzoni. E in questo caso, visto che siamo negli anni ottanta anche di un video. Forse il più trasgressivo o quasi di tutta la decade.

The chauffeur per i duraniani e le duraniane è una leggenda. Pare infatti che Simon Le Bon sia riuscito a convincere gli altri (soprattutto John Taylor e Nick Rhodes fondatori della band) che fosse il cantante adatto a loro grazie a questo testo scritto da lui come poesia nel 1978 e improvvisato a cappella nel provino.

The chauffeur e il suo malinconico ritornello “Sing, blue Silver”, se per un po’ lasciano spazio al successo dei più famosi The reflex, Planet earth, Hungry Like the wolf e Wild Boys; negli anni seguenti diventano il simbolo della band. Prima un libro, poi una turnè, poi cover band e concerti con questo nome in omaggio ad una delle band esaltate e massacrate dai mass media e dalle mode, ma che alla fine va sempre avanti.

Il pezzo è struggente, canta di un innamoramento forse impossibile fra l’autista del titolo e la donna ricca e perversa presso cui porta servizio.
Là fuori su distese di asfalto/ vetture scivolano cercando nuove destinazioni / tu ancora più affascinante siedi accanto a me / il tuo sudore, gocce di rugiada che luccicano e rinfrescano il tuo profilo/ Il sole scivola dietro pesanti lenzuola sul davanti del tuo vestito/ linee d’ombra e il ronzio del motore pulsa al ritmo del tuo cuore

Una canzone d’amore quindi, come nella parte patinata degli anni ottanta era quasi d’obbligo. Ma comunque originale e toccante nella lirica quando lo chauffeur osserva il suo amore che ha accompagnato verso un amore nascosto di cui lui può essere solo spettatore.
E guardando gli amanti separarsi scorgo il tuo sorriso/ schegge di vetro giacciono così in profondità nella tua mente/  da strapparti gli occhi qualche parola che conferma  le bugie rimuginate/ e ti lascio andare via restando indietro.

E quindi il ritornello ipnotico che fa il successo della canzone.
Il sole scivola dietro pesanti lenzuola/ sul davanti del tuo vestito/ linee d’ombra e il ronzio del motore/ pulsa al ritmo del tuo cuore/ Canta blu argento

Ora questa ultima strofa di tre parole, che vedo lasciar così tradotta in quasi tutte le traduzioni ufficiali (anche quelle che dovrebbero essere sottoposte ad editing, sic!) o qualcuna appena più curata almeno la trasla in “Canta triste Argento“, è stata spesso interpretata come un riferimento alla livrea dell’autista. Personalmente però penso che sia un omaggio si Simon Le Bon a Silver, leggendario cavallo del Cavaliere Solitario (Lone Ranger), che ubbidiente segue il protagonista in ogni avventura e rimane a sua disposizione con un fischio. In My Humble Opinion la cosa assume molto più significato.

La bellezza della canzone è indiscutibile, la melodia ipnotica e suadente è sufficiente in pochi minuti a cancellare ogni discussione sul fatto se sia un pezzo pop o rock o fusion o elettronico o altro.
Musica, semplicemente musica, che in ogni decade ce n’è in ogni angolo. A volte in maniera ingombrante, a volte bisogna andare proprio a cercarla fra una brutta trap e un insopportabile reggaeton. Ma la musica c’è sempre da qualche parte, ed è quella che conta. 

Il successo del pezzo (recentemente riarrangiato per il film Drive dai Deftones in una versione più grunge e dissonante) è dovuto anche al bellissimo video in bianco e nero di Ian Emes. Anche questo un omaggio, stavolta allo stile fotografico di Helmut Newton.
Simon Le Bon, ovviamente nelle vesti dello chouffeur, accompagna la donna che serve verso il suo amore clandestino. Ma, sorpresa (è il 1983 ricordiamocelo) è un amore saffico e, se già non fosse abbastanza, la chouffeur androgina che è al servizio dell’altra donna improvvisa un balletto in topless davanti all’impassibile Simon. E non basta certo che il suo seno sia quasi inesistente per non creare scandalo.

Quale scandalo? In realtà il video passava indisturbato su ogni canale televisivo che mandasse video musicali. Forse Dee Jay television evitava di mandare il finale all’ora di pranzo, di certo qualcuno si lamentava del degrado (“…che roba contessa”) ma allora non c’era il farfallino di Pillon che rompeva le scatole ad ogni Sanremo e la demenziale censura dei demenziali algoritmi di Zuckemberg… Ma sì dai! In fin dei conti siamo sopravvissuti e ci siamo divertiti anche negli anni ottanta.

 

 

 


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