100 canzoni di cui parlare, Blog, In evidenza

Cento canzoni di cui parlare. Contro il mondo (che sta crollando)

[27/100]

 

Se ci fosse bisogno dell’ennesima conferma che la Musica-con-la-emme-maiuscola non è finita negli anni ’70, o negli ’80 e neanche nei ’90 (quando ve ne farete una ragione che non finirà mai piuttosto?) eccola qua.

I Baustelle, ovvero (in ordine alfabetico) Rachele Bastreghi, Francesco Bianconi e Claudio Brasini. Tre B, che con la quarta del nome scelto dalla band fanno davvero un poker che li porta nell’olimpo dei migliori artisti italiani del nuovo millennio per musica, testi e impegno .

[Di Mikegibi - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=63156678]

Cominciare a conoscere la loro vasta produzione (vasta ma mai dettata dallo sfruttamento estemporaneo del successo: 10 album in 25 anni di attività, con una pausa lunga cinque anni fra “L’amore e la violenza – vol. 2” ed “Elvis“), significa scoprire con piacere che i semi della musica d’autore non finiscono mai di germogliare.

Se sempre più spesso c’è chi paragona il frontman Francesco Bianconi a giganti come Franco Battiato o Fabrizio De Andrè non è né un caso né un delirio né una piaggeria. Nei dieci album, (di cui l’ultimo, “El Galactico” è uscito in questi giorni) oltre a una musica che richiama uno stile personale, riconoscibile e molto elegante, i testi (per la maggior parte scritti dallo stesso Bianconi) e spesso cantati insieme alla Bastreghi (autrice di quasi tutte le musiche) sono di un livello tale da aver garantito numerosi riconoscimenti nazionali fra cui una targa Tenco per l’album “Amen”.

Come il grande Faber appena citato, i testi dei Baustelle causano pericolose crisi emozionali in qualunque persona appena più sensibile di un elettore di Salvini. E questo sia nel caso parlino di amore (“Gli spietati salgono sul treno e non ritornano mai più, non sono come noi perduti antichi eroi, noi due che al binario ci diciamo addio” – Gli spietati) che di amicizia (“L’ultima volta ti ho visto cambiato, bevevi un amaro al bancone del bar, perché il tempo ci sfugge, ma il segno del tempo rimane. […] L’ultima volta che ti ho salutato, poi sono scappato nel cesso del bar, ed ho pianto sul tempo che fugge, e su ciò che rimane” – Le rane)  che di impegno e disillusione sociale (È difficile resistere al Mercato, amore mio. Di conseguenza andiamo in cerca di rivoluzioni e vena artistica. Per questo le avanguardie erano ok, almeno fino al ’66. Ma ormai la fine va da sé. E’ inevitabile.” – Il liberismo ha i giorni contati).

A tal proposito, visto che li seguiamo da un po’, eravamo consci che ascoltando il nuovo album ci sarebbero stati dei momenti in cui ci sarebbe mancato un po’ il fiato. Ma in questi giorni in cui femminicidi e revenge porn sono all’ordine del giorno, da quando abbiamo sentito Una storia  dobbiamo ancora ricominciare a respirare (“Che cosa penseranno adesso di me? Di questo schifo che c’è? Di questo fiume di storie senza storia? Perché se merda c’è solamente a questo crede la gente che non sa dove va.”)

La bravura dei Baustelle, e dei grandi cantautori che li hanno preceduti, non è solo nel saper scavare nell’animo e portare alla luce sentimenti ed emozioni ma anche e soprattutto nel non prendersi troppo sul serio e sapere che alla fine la vita è un enorme pandemonio in cui nessuno ci capisce nulla, quindi guai a prendersi troppo sul serio o voler fare i profeti. Autodescriversi come “Io che vendo dischi in questo modo orrendo“, mostra la capacità di autoironia e sapere che non ci si può ergere eroi perfetti né profeti infallibili da seguire. Giocano con la vita (la loro e la nostra) passando da momenti ironici (Milano  è la metafora dell’amore, Amanda Lear, Andiamo ai rave) ad altri ben più drammatici (La guerra è finita, La ballerina) mescolando sapientemente quelle che possiamo definire non “lezioni di vita” (che nessuno vorrebbe e loro di certo non vogliono dare) ma pillole di supporto sotto forma di canzoni.

La musica che “ti entra nella pelle” diceva Finardi,  quella adatta alle “tante storie che ho da raccontare per chi vuole ascoltare” ribadiva Guccini, quella che può farti “amare soltanto parole” o “parlare solo d’amore” ipotizzava Max Gazzè, quella che se te la dedicano rispondi “non credo di essere così importante” come sottolineava Vasco.
La-Musica-con-la-emme-maiuscola che ci aiuta in questo mare in tempesta che chiamiamo vita; ogni tanto ti aiuta a dare un senso alle cose, a capirle o ad accettarle. No, quella musica non morirà mai, fatevene una ragione; semmai ci sembrano in grave diminuzione le persone che sanno ascoltare e andare oltre il messaggino che abbozza all’uso di una droga o del sesso più o meno libero. Perché non basta avere delle mappe che ti aiutino ad orientarti nel susseguirsi delle tue emozioni, occorre anche saper comprendere, leggendo anche fra le righe. Magari anche mettendoceli tu stesso dei significati a cui l’autore non aveva pensato, a volte capita anche questo.
Ma questa diminuzione di individui che hanno voglia di ascoltare e provano a capire ciò che un pezzo musicale vuol dirti non è certo colpa dei cantanti, ma della società che ci stiamo costruendo addosso.

 

Contro il mondo è un pezzo del 2023 contenuto in Elvis, album che ripropone il gruppo in splendida forma nonostante cinque anni di pausa e in esso le loro tematiche ci sono un po’ tutte. L’immancabile storia d’amore (non certo nello stile del dolce stilnovo), la trasgressione alle regole, il loro successo, il loro criticare il mondo ma nel contempo esserci dentro e sentirsi quasi in colpa per aver successo.

Se la situazione descritta da questa canzone sembra riservata a chi fa parte dello show business in realtà è fin troppo comune e le strofe scritte da Francesco Bianconi lo sottolineano.

Una storia d’amore che nasce da quel che è una richiesta d’aiuto (“Ricordi il Primavera Festival quando mi hai detto: “Ciao” e sei svenuta? Il giorno dopo nella camera a strisce blu dell’hotel ti sei spogliata, dei quattro stracci da folletto freak Da punkabbestia chic e ti ho baciata”) e che prosegue in quel che sembrerebbe una simbiosi fra anime gemelle (“Non ho soldi in tasca e zero amici anche mia madre non la sento più E anche se è triste, dark e depressiva la tua musica mi tira su. Io voglio quello che vuoi tu…”) ; ma qui il racconto della storia d’amore si ferma e diventa il pretesto per i Baustelle di sviluppare uno di quegli affondi politici che ce li fanno amare, perché quello che vogliono i due amanti è Essere contro il mondo e invece averlo addosso in centoventi metri quadri di parquet avere un cane, un taglio, un figlio, aver successo
Andare a leggere il giornale in un caffè, svegliarsi tardi la mattina, criticare il grande vuoto, la sinistra che non c’è farsi di yoga e qualche droga e supplicare di esser popolari.


Verrebbe da dire, amanti ribelli e critici della società ma non così fuori di testa da far la fine di Sid e Nancy. E attenzione, non lo diciamo con ironia, lo diciamo apprezzando il suggerimento dei Baustelle, perché poi la vita, la nostra vita, ci insegna quello. Uno può anche sacrificarsi per ideali maggiori, può scegliere di morire per la libertà o per protesta o per la giustizia. Ma farlo solo per autodistruzione nichilista, più o meno volontariamente, è una gran stronzata. E se pensate che lo diciamo perché siamo ormai dei boomer, va bene lo stesso; ma sinceramente il surfista di Point Break che sentenziava: “io non voglio invecchiare fino a trent’anni” lo abbiamo sempre reputato un coglione.

Tornando al pezzo la storia d’amore proposta dai Baustelle non diventa una favola, anzi.
“In fin dei conti adesso è comodo fare un’analisi approfondita, invece solo cinque anni fa chiedevi aiuto senza via d’uscita. Fiore strappato sei venuta da me, causando un’emorragia nella mia vita. Perché l’amore rende ciechi se c’è, e non distingui Sylvia Plath da un parassita.”

[Di Giovanni Giovannetti/Grazia Neri - https://www.flickr.com/photos/synaes/5110600085, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=42716377]

Solo per questa strofa il pezzo merita una standing ovation. Perché, lo sappiamo, i temi sono sempre gli stessi, ma la classe è classe. Sylvia Plath era una poetessa americana morta suicida all’età di 30 anni, accecato dall’amore il protagonista di “Contro il mondo” pensava ad una ragazza in cerca di aiuto, e invece era un parassita.
Crudele? Spietato? No. Realista.
Vampirismo emozionale, relazioni tossiche, persone che reputano normale insultare e distruggere perché, come diceva Faber (ancora lui) in Amico fragile, il loro è “un bisogno d’attenzione e d’amore troppo se mi vuoi bene piangi“; sono persone che si incontrano fin troppo frequentemente, e le conseguenze sono ben note.
La soluzione, mai facile, è quella di avere il cinismo e la capacità situazionista che canta Bianconi, che chiosa la storia d’amore con: “E un giorno ti ho scoperto a letto con un altro, però non mi ha fatto male e sai perché? Perché siam tutti uguali, cani nel deserto.”

Facile a dirlo, più difficile a farlo, ma necessario. Ma del resto se questo è il mondo, bisogna adeguarsi per combatterlo e quindi ecco la pillola di aiuto finale: “Indosso il mondo, lo imito come una forma portatile di verità. Per sopravvivere, agisco mimetico dentro di lui. Indosso il mondo, lo venero come una fredda tascabile divinità, inossidabile moda del cazzo che non muore mai”.

Applausi. A scena aperta.

 

Baustelle – Contro il mondo

 

Le altre 26 canzoni:

Sornione
Velasquez
L’avvelenata
Time
Il giorno di dolore che uno ha
Heimat
Ci penserò domani
Meri Luis
The chauffeur
Off he goes
Ob-la-di, ob-la-da
The Times they are a changin’ – Things have changed
Rimini
The captain of her heart
The bard’s song
Stay. Faraway, so close
Il mio nome è mai più
Purple rain
Wish you were here
Fottuti per sempre
Canto del vuoto
Love will tear us apart
Curre curre guagliò
Riders on the storm
Le passanti
Runaway train