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100 canzoni di cui parlare. The bard’s song

Pubblicato il 4 Ago 2024

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Del nostro arrivo ad apprezzare la musica Metal (di cui i Blind Guardian sono ottimi interpreti) parleremo un’altra volta; anche perché la loro Bard’s Song – in the forest, anche se è uno dei loro pezzi più conosciuti, amati ed immancabile ai concerti, con il metal c’entra poco. È decisamente una ballata celtic-folk.

Tutti voi conoscete / I bardi e le loro canzoni
Quando il mio tempo sarà finito / Chiuderò i miei occhi.
E in un mondo lontano / forse ci incontreremo ancora
Ma ora ascolta la mia canzone / sull’inizio della notte
Cantiamo la canzone del bardo

Nel primo capitolo della trilogia cinematografica The Hobbit  i nani guidati da Thorin Scudodiquercia dopo essersi accomodati e dato fondo alla credenza di casa Baggins si raccolgono e iniziano a cantare intonando Nebbiosi monti gelati come buon auspicio per l’impresa che da lì a poco avrebbero tentato di portare a termine. Al cinema molti spettatori non gradirono nonostante la canzone durasse poco più di un minuto; probabilmente ansiosi di rivedere le infinite epiche battaglie del Signore degli Anelli.  Eppure quello è senza ombra di dubbio uno dei pezzi più profondamente tolkieniani di tutti i sei film che hanno rilanciato l’opera fantasy più importante della narrativa moderna e contemporanea.

I libri dello scrittore britannico traboccano di momenti lirici. Nel senso di vere e proprie canzoni. I suoi protagonisti non perdono mai l’occasione per cantare nelle pause. Della morte di Gandalf, di quella di Boromir, gli Hobbit che ricordano la contea, gli Ent che ricordano le loro Entesse e così via. JRR Tolkien, grandissimo conoscitore della lingua e della storia britannica, sapeva bene che le canzoni sono parte fondamentale della memoria. La Storia (con la S maiuscola) ci narra  quello che è successo agli Stati, ai Re, agli imperatori, ai Papi; ma le canzoni, soprattutto quelle popolari che fanno parte a tutti gli effetti della “storia orale”, parlano degli uomini e delle loro idee, dei loro sentimenti. E grazie a loro riusciamo forse a capire meglio perché un fatto sia accaduto.
Lo sa bene anche Wu Ming 4 che racconta nel suo ultimo libro un Robin Hood in modo totalmente diverso da quello conosciuto; una storia ottenuta lavorando molto sulle ballate dei bardi di quel periodo.
Ma torniamo alla nostra canzone del bardo.

Il domani ci porterà via / lontano da casa
Nessuno conoscerà i nostri nomi
Ma le canzoni del bardo resteranno
Il domani porterà via / anche la nostra paura /
questa scomparirà
Grazie alle nostre magiche canzoni

Ci perdonerete se azzardiamo parallelismi e divagazioni, ma pensate un attimo alle canzoni della Resistenza quanto raccontano quel biennio in maniera diversa dalla vulgata ufficiale, pacificata per ragioni di opportunità politica.
Se già in bella Bellaciao che, essendo politicamente comoda, è sempre stata la canzone ufficiale nei ricordi ufficiali del 25 aprile (prima dei rigurgiti fascisti di cui purtroppo ci tocca essere testimoni nei nostri giorni, s’intende) si trova spazio per la durezza della lotta partigiana, molto più espliciti sono le strofe de I ribelli della montagna (conosciuta anche come Dalle belle città) e ovviamente di Fischia il vento.

Ma pensate anche come Italo Calvino nella sua Oltre il Ponte ci tramandò la sua esperienza e di come già sapeva (nel 1959) di quanto fosse difficile far capire alle nuove generazioni cosa fosse una lotta di resistenza contro un nemico potentissimo come la Wermacht nazista.

La tradizione della storia orale non si ferma mai, pensate ai canti anarchici di Pietro Gori, a La ballata del Pinelli, al lavoro di De Andrè sul Maggio del 1968, a Fausto Amodei con la sua Per i morti di Reggio Emilia, a Guccini su Piazza Alimonda o a The Partizan di Leonard Cohen o a tutto l’immenso lavoro di Pete Seeger.
Condividere la storia orale, cantando insieme la stessa canzone, è una delle cose più potenti che si possano fare. E allora che si parli di pura narrativa o di storie diverse dalla Storia che scrivono i vincitori, il messaggio è lo stesso e i Blind Guardian lo sintetizzano in poche efficacissime strofe.

C’è solo una canzone / nella mia testa
Narra di un uomo coraggioso / che visse lontano da qui
Ora le canzoni del bardo sono finite /ed è ora di andare
Nessuno dovrebbe chiedere il nome / di chi ha raccontato la storia
Il domani ci porterà via / lontano da casa
Nessuno conoscerà mai i nostri nomi
Ma le canzoni del bardo resteranno

[i Blind Guardian al Festival Celtico di Montelago, Agosto 2024]

Nessuno dovrebbe mai chiedere il nome di chi ha narrato la storia. Perché? Ma perché come dice Stephen King “È la storia, non colui che la racconta“.

Certo, alcuni sono più bravi di altri a raccontare le storie e.. se la gente lo sa, e la gente lo sa che sai suonare, suonare ti tocca per tutta la vita e ti piace lasciarti ascoltare; non tutti possono essere Il suonatore Jones, ovvio.
Ma la magia (e “la magia esiste!” tanto per restare a King) del rituale è proprio questa! Quando una canzone diventa un coro nessuno stona. È di certo per questo che Blind Guardian la Bard’s song la lasciano cantare al loro pubblico, perché è una canzone fatta per essere cantata insieme. Di notte attorno al fuoco. Prima di andare a compiere il proprio dovere all’alba.

Domani tutto si saprà /E voi non siete soli
perciò non abbiate paura / nell’oscurità e al freddo
Perché le canzoni dei bardi resteranno
Resteranno tutte
Nei miei pensieri e nei miei sogni / nella mia testa ci sono sempre
Queste canzoni di hobbit, nani / uomini ed elfi
Dai, chiudete gli occhi / Li potete vedere anche voi.

 

The Bard’s song – in the forest – Blind Guardian

 

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