Cominciare la lettura dei romanzi di un autore definito dal Sunday Times “Lo Stephen King italiano” implica aspettative non indifferenti.
Ma fin dal primo libro della trilogia, Il buio dentro (La Corte Editore 2016, dello stesso editore i successivi I figli del male, 2018 e Le colpe della notte, 2019) si capisce che il paragone non è peregrino.
Quando il plot della storia comincia ad essere chiaro, inevitabilmente ci vengono alla mente le parole di Tullio Dobner (indimenticato traduttore di King in italiano); raccontò infatti, durante la premiazione del Terni Horror 2017, che lo chiamarono a tradurre “il Re” perché un autore così cattivo che “faceva morire i bambini” non lo voleva tradurre nessuno (il primo libro da lui tradotto di King tradotto è stato Cujo).
Piuttosto che star a rivelare trame, cosa che per i thriller non è mai simpaticissima, vogliamo quindi esaminare la “cattiveria” dei due autori. Cattiveria intesa come quella abilità necessaria per scrivere storie che sfociano nel gore e che spesso superano quel labile confine fra il genere thriller e l’horror.
Cosa accomuna, a nostro giudizio, Lanzetta e King?
Innanzitutto la perfetta caratterizzazione dei personaggi, costruiti in modo quasi maniacale e con i dettagli importanti della loro vita svelati totalmente. Ogni loro scelta è influenzata da avvenimenti accaduti in passato che entrambi gli autori ti svelano e quindi ti permettono di capire meglio i loro comportamenti.
In secondo luogo il loro soffermarsi su quell’età pre-adolescenziale, che può variare dai 10 ai 14 anni. Un’età stranissima in cui i bambini e le bambine non sono più tali ma non sono ancora adolescenti. Stanno cambiando, sentono che stanno cambiando, ma ancora non hanno iniziato a capire e perché.
Tuttavia anche con questi saldissimi punti in comune che riconosciamo ci sentiamo di essere presuntuosi e correggere il Sunday Times. Antonio Lanzetta non è lo Stephen King italiano, è il Richard Bachman italiano.
(Per i pochi che non lo sapessero Richard Bachman è lo pseudonimo con cui King ha pubblicato, e pubblica tutt’ora, alcuni suoi romanzi. Li pubblica ancora, attribuendoglieli postumi come manoscritti ritrovati; poiché Bachman è morto di “cancro allo pseudonimo” come ha dichiarato il Re stesso dopo che un fan particolarmente attento e scrupoloso scoprì la sua doppia identità).
Perché diciamo questo? Per la differenza di cattiveria fra King e Bachman per l’appunto. Del resto del fatto che quest’ultimo abbia sempre rappresentato la sua metà oscura lo scrittore del Maine non lo ha mai nascosto.
Ma non ne vogliamo fare una gara di cattiveria, semplicemente nei romanzi di Bachman, molto più che in quelli firmati King, troviamo situazioni in cui non hai il paracadute del Cosmo di King in cui le forze del male sono in perenne equilibrio.
In un romanzo di King puoi incontrare mostri, maniaci, serial killer, vampiri, zombie, lupi mannari e quant’altro. Ma sai che comunque c’è un equilibrio che se in un tempo o in un luogo le cose vanno male, queste saranno bilanciate, magari in un altro tempo e in un altro luogo.
In quelli di Bachman no. Qui se le cose vanno male, vanno male e basta. Come succede al protagonista di Ossessione la cui rabbia adolescenziale lo porta alla follia.
Ma soprattutto il modo con cui i protagonisti di Lanzetta cercano la vendetta non può che farci tornare in mente il protagonista di Thinner (L’occhio del male) che combatte la maledizione paranormale dei gitani con quella molto più terrestre dei suoi amici mafiosi.
Dei tre romanzi componenti la trilogia del buio il secondo (I figli del male) ci sembra quello più convincente ma il colpo di scena finale del terzo capitolo (Le colpe della notte) che chiude la trilogia è uno di quelli che ti fanno urlare “NO!” ovunque ti trovi.
Flavio, Damiano e Stefano sono cresciuti a Castellaccio, paese inventato dall’autore ma che ricorda fin troppo tante situazioni reali, e sono i tre protagonisti principali della trilogia. Ecco tutti e tre decidono, magari con tempi e modi diversi, che alcuni problemi o si sistemano da soli, anche affrontandoli al di fuori della “legge”, o non si risolveranno mai e potrai solo scegliere fra l’omertà e i rimpianti.
È spesso la ricerca della vendetta, pura e semplice, che muove i protagonisti di Lanzetta. Alla faccia della giustizia che non gli è concessa. Esacrabile, condannabile, inaccettabile; lo sappiamo. Eppure era o no un altro King, pacifista convinto, ovvero Martin Luther King, che ebbe modo di dire nel 1967 “Non può esserci giustizia senza pace, non può esserci pace senza giustizia”?
Quando la giustizia manca c’è chi se la fa da solo, è un dato di fatto. Per chi segue giustizia e vendetta per motivi personali o per ideali ci può essere un triste destino che lo attende.
Ma mai triste però come quello degli ignavi che hanno chiuso troppe volte gli occhi a Castellaccio.
Alessandro Chiometti