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Il gol più bello della mia storia del calcio

Pubblicato il 13 Dic 2020

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Dicono che nei momenti drammatici tutta la vita ti scorre davanti agli occhi come un film.

Bruno Corsi doveva ancora compiere quattordici anni eppure, quando svirgolò malamente la palla a dieci metri dalla porta vuota quel film lo vide davvero. E non era una bella sensazione; soprattutto per quello che era successo negli ultimi giorni.

Venerdì, 16 maggio 1986, 8:12 am

Lo scappellotto fece sputare a Bruno il tè che stava sorseggiando davanti al distributore automatico, si scottò la mano e il bicchiere cadde per terra schizzandogli lo zaino e pantaloni della tuta.

Attento! Guarda che casino che fai! Neanche sai bere un tè?”

Giulio Mastrocaro, ripetente della stessa classe di Bruno, il 1°N dell’Itis di Terni, (ma un anno lo aveva già perso al liceo scientifico) quella mattina cominciò presto il suo turno di bullismo.

Allora mungo? Sei pronto per domenica? Ne facciamo altri quattro alla vostra squadretta di munghi, contento?”

Bruno raccolse lo zaino, non era il caso di provare a prendere un altro tè. Si limitò ad alzare una spalla in segno di rassegnazione. Giulio era il portiere titolare della Virtus, compagine al primo posto nel campionato provinciale esordienti; lui invece era solo una riserva della Virgilio Maroso – “squadra B” che nello stesso campionato si trovava nella parte bassa della classifica.

La “squadra A” della stessa Virgilio Maroso era invece lanciatissima nelle selezioni regionali.
Essere una riserva delle riserve non lo aveva aiutato molto a superare quel primo anno di scuola media superiore.

Si girò per andare verso la sua classe ma Giulio ormai aveva odorato l’odore del sangue: “Aho! Non rispondi?” Disse colpendolo ancora con forza sulla spalla.

Giulio che ti devo dire? Io neanche giocherò, lo sai!”

Ah ah ah… che mungo, già sai che non giochi… allora che ci vieni a fare al campo? Stattene a casa no? È freddo la domenica mattina!”

Non aveva certo tutti i torti, ma dall’età di otto anni le domeniche di Bruno coincidevano con le partite della sua squadra di calcio. Non era mai stato un grande giocatore, quasi sempre in panchina, nonostante la sua passione e abnegazione negli allenamenti. A volte faceva una discreta figura in marcatura ma aveva due ferri da stiro a posto dei piedi; poi, difetto imperdonabile per un calciatore, si distraeva. Come del resto succedeva a scuola. C’erano state partite in cui non aveva fatto toccare palla all’avversario e poi, perso dietro chissà quale pensiero, si ritrovava lontano dallo stesso che andava a segnare in solitudine per la disperazione dei suoi allenatori. Terzino destro quando giocava, a volte centrale, ma fondamentalmente il classico panchinaro metodista.

Quell’anno non era stato certo dei migliori, scartato fin dall’inizio dalla squadra A, poco dopo relegato alla panchina anche nella squadra B.

Una delle poche partite giocate come titolare era stata proprio in quella partita persa 4 a 0 sul campo della Virtus nel girone di andata del campionato primaverile e lui era stato uno dei peggiori in campo. Per sua sfortuna il portiere della Virtus era Giulio Mastrocaro, fuori quota di rinforzo e suo indesiderato compagno di scuola che non si accontentò della vittoria sul campo.

Due anni di differenza in quel periodo della vita sono un’enormità incolmabile. Se Bruno pensava ancora alle figurine dei calciatori e ai videogames, i ripetenti come Giulio arrivavano con i motorini o con i 125 e vivevano le prime tresche con le ragazze. Ovviamente sottoponevano i loro colleghi più piccoli ad ogni tipo di bullismo adolescenziale per “insegnargli a vivere” come le lunghe tradizioni del nonnismo macho insegnavano.

Episodi di bullismo e prevaricazione peggiorati nei suoi confronti dopo che Giulio aveva raccontato a tutti la sua pessima attitudine come calciatore.

Bruno non voleva rispondere alle provocazioni quella mattina e continuò a camminare verso la porta della sua classe, ma Giulio non era ancora soddisfatto. Il classico sgambetto e Bruno fu costretto a fermarsi per non cadere. Si girò e questa volta decise di sostenere la sfida.
Anche se non poteva competere fisicamente con un quasi sedicenne, non era certo piccolo e aveva messo in chiaro in più di occasione che sapeva difendersi.

Giulio, che vuoi? Vincete ‘sto campionato e neanche sei contento?”

Ah certo che lo vinciamo, già abbiamo festeggiato domenica scorsa vincendo con la Dinamo! Il Sangemini ha pareggiato e ora basta che vinciamo con voi munghi e finiamo al primo posto!”

Oh, e quindi? Bravi! Che vuoi da me?”

Che voglio?”

Gli occhi di Bruno mettevano in chiaro che era pronto a restituire ciò che avrebbe preso, Giulio in genere sapeva quando non era il caso di insistere e stava per farsi una risata e chiuderla lì, ma in quel momento passò nel corridoio Alessia della classe IIC, una delle poche ragazze che frequentavano l’Itis e di certo la più bella. La situazione quindi cambiò, Giulio doveva esibire il suo fascino di bullo di provincia al suo meglio di fronte alle ragazze, quindi afferrò Bruno per il colletto del giacchino jeans e lo spinse contro il muro.

Voglio che dici ‘sono mungo’ e poi che mi paghi la colazione ! Allora ti lascio andare, va bene?”

Giulio, vaffanculo! Ho solo duemila lire…lasciami stare!”

Vaffanculo a me? Brutto mungo ma come ti permetti?” e lo schiaffeggiò, pensando di impaurirlo. Bruno per tutta risposta gli diede una ginocchiata violenta ma non riuscì a centrare “l’obiettivo primario” e prese il quadricipite. Ginocchiata dolorosissima, ma non tolse il fiato a Giulio come avrebbe fatto la stessa se fosse arrivata nei testicoli.

Giulio si arrabbiò e gli mollò un nuovo schiaffo molto più forte del primo e questo lo fece cadere a terra. Si rialzò minacciosamente ma prima che la rissa volgesse al peggio, gli altri compagni di scuola li separarono dicendo che stava arrivando Cherobelli, il loro professore di matematica.

Bruno raccolse lo zaino e urlò: “Giulio, spera che non gioco domenica, perché se gioco ti segno sicuro!”

Di fronte a una minaccia così ridicola e poco credibile Giulio scoppiò a ridere e, con lui, rise a lungo anche tutta la classe 1°N  in modo sempre più sonoro e scomposto.
Bruno se ne andò al suo banco, spezzò le due matite nuove appena comprate alla tabaccheria di fronte alla scuola e mordendosi la lingua ricordò uno degli ammonimenti di suo padre: “Non piangere mai di fronte agli stronzi, gli dai solo più forza!”.

Passò il resto della giornata scolastica ad accettare scommesse con chiunque sul fatto che avrebbe segnato a Giulio nella partita di domenica. Lo stesso accadde durante la mattina del sabato e quando quel giorno suonò la campanella di uscita alle 13 e 20, campanella che sanciva fine della giornata e della settimana scolastica, Bruno era economicamente esposto per cinque panini della mensa interna dell’Itis (quelli richiestissimi al tonno e sottaceti, che costavano duemila lire l’uno invece di millecinquecento lire come gli altri), dodicimila lire in contanti e la cassetta dei Duran Duran che si era fatto regalare per compleanno.

Sabato 17 Maggio, ore 4.20 pm

Dai Bruno, per favore… prestami la bicicletta, che ti costa?”
Massimo non rompere dai, lo sai quanto si arrabbia mio padre se ti vede in giro con la mia bici!”
Ma come fa a vedermi? Passo per la strada dietro ai palazzi per andare da Federica, dai!
“No. Su quella stradaccia sterrata poi? Se buchi come facciamo?”
“Ma dai, ci sto attento. Dai… cavolo! Federica ha solo un’ora per uscire di casa, l’autobus è passato, che mi vuoi far arrivare a Gabelletta a piedi? Ti prego…”
No, non se ne parla, mi dispiace!”
“Ti pago il gelato, che vuoi un cornetto? Un calippo?”
No Massimo, davvero”
Un pezzo di pizza da Marcello stasera, Due! Anche la Coca Cola… no che bevi tu? La One-O-One? Una bottiglia da un litro, dai!”
No Massimo che poi mio padre sta a casa oggi, non mi va di litigarci!”
Che stronzo che sei… sai un cazzo tu di che vuol dire avere una ragazza… colpa mia che te le chiedo certe cose, che tu ancora pensi alle figurine!”
Oh Massimo, vaffanculo! Se la metti così sbrigati, fai una bella corsa che forse un bacetto glie lo dai!”

Massimo si sedette sconsolato sulla panchina con le mani nei capelli, piegato in due con la testa che era quasi a toccare i ginocchi. Poi rialzò la testa, guardò Bruno e si accese nella sua testa la classica lampadina da 50 watt.
Bruno, facciamo così. Domani mattina dico al Mister che sto male e gli dico di far giocare te.”
Cosa?”
Facciamo così ti dico. Tu mi presti la bici e io domattina vado dal Mister, racconto che ho il mal di pancia e la nausea e non me la sento di giocare. E poi gli aggiungo: ‘Mister visto che è l’ultima partita faccia giocare Corsi al posto mio che ha giocato poco quest’anno!’ Eh che ne dici?”
Ma si figurati se fai una cosa del genere, e poi hanno chiamato apposta a te che fai il regionale per darci una mano…”
Eh ma tranquillo… appunto per quello! Ti pare che vanno a rischiare di farmi giocare se gli dico che sto poco bene? Domenica prossima iniziano le finali regionali per noi!”
Ma tu giochi di punta, io sono difensore come fa a farmi giocare al posto tuo?”
Ti ho detto: stai tranquillo! Il Mister mi sta a sentire, se gli chiedo una cosa la fa. E poi Paolo si è fatto male no? Quindi la punta vostra non c’è, io gli dico che la mattina ho vomitato e di far giocare a te al mio posto perché ti ho visto carico agli allenamenti. Oh… che poi è vero, non hai pure segnato di testa alla partitella di allenamento del giovedì?”
“Sì, ma…”
“Sta tranquillo. Fidati di Massimo che la maglia numero 9 domattina è tua!”

Un vortice di pensieri che andavano dall’abbuffata di panini tonno e sottaceti alla possibilità di giocare in nazionale da lì a qualche anno esplose nella testa di Bruno Corsi.
P
orse il manubrio della sua Atala a Massimo Andreini, talentuosa punta della squadra regionale della Virgilio Maroso, e lo mise in guardia: “Massimo tu fa che domattina non dici niente al Mister ed è l’ultima partita che fai con le gambe intere, chiaro?”
“Chiarissimo! E sta tranquillo per tuo padre che tra poco più di un’ora sono qui.”

Domenica 18 Maggio, ore 10:36 am

La maglia bianca e verde con il numero 9 pesava sulle spalle. Molto più di quelle che andavano dal 2 al 5 a cui Bruno era più abituato. Giocare all’attacco voleva dire mettersi in evidenza e i fischi e le canzonature dei tifosi della Virtus arrivavano ogni volta che toccava palla.
Non aveva fatto grossi errori, ma alla prima azione in cui il difensore lo aveva anticipato di netto sul passaggio della mezzala ci aveva pensato Giulio Mastrocaro ad aizzare il pubblico: “Tranquillo Carlo, oggi il nove si marca da solo!” aveva urlato a squarciagola, facendo ridere tutti.
Tutti tranne Bruno.
Un paio di fuorigioco da punta inesperta e un passaggio di pochi metri sbagliato avevano fatto il resto.

Il primo tempo volgeva alla fine, mancavano pochi minuti al duplice fischio che avrebbe mandato tutti a riposarsi negli spogliatoi. La buona notizia era che lo 0 a 0 resisteva e gli attaccanti della Virtus non sembravano in grande giornata.

Su un lungo passaggio del suo compagno di attacco, il numero 11 Andrea, si impegnò in una corsa sulla fascia sinistra per cercare di raggiungere la palla, ma riuscì solo ad attirarsi ulteriori ironie dei tifosi della Virtus. La palla terminò in fallo laterale all’altezza dell’area di rigore difesa da Giulio senza che lui riuscisse a raggiungerla.
Il terzino destro avversario la raccolse con calma e, mentre Bruno si era inginocchiato per sistemare i calzettoni, questo si preparò a un lungo rinvio con le mani per raggiungere il centrocampo. Ispirò profondamente per caricare meglio la forza da imprimere con le mani al pallone.

Mentre Bruno stava rialzandosi sentì l’urlo, inconfondibile, di Giulio. Ma stavolta non era rivolto a lui, era rivolto al suo terzino. “Matticariiii, no lungaaaa… passa qui a meee!”. Bruno lo guardò, Giulio urlava e correva verso il limite destro dell’area di rigore della Virtus per facilitare il passaggio con le mani del suo terzino verso di lui.
Il terzino Matticari, con la maglia gialla e blu numero 2, aveva già inarcato la schiena e si era preparato a un rilancio lungo si girò verso il suo capitano a cui non poteva disubbidire e lanciò la palla verso di questo. Ma evidentemente non riuscì a coordinarsi mentalmente per togliere la forza che aveva deciso di imprimere alla palla, questa partì dalle sue mani veloce. Ed alta.

Bruno guardò quel lancio e guardò dove era Giulio. L’avrebbe superato. E dietro a Giulio non c’era nessuno.

Scattò verso la porta passando vicino a Giulio proprio mentre questo, saltando, prodigava disperatamente il suo braccio destro verso la palla. Non ci arrivò e cadde pesantemente al suolo avendo messo tutta la sua energia in quello stacco.

La palla atterrò esattamente dove Bruno aveva previsto che cadesse.
A un paio di metri da lui. A dieci metri dalla porta vuota.
Al primo rimbalzo Bruno aveva quasi coperto tutta la distanza dalla palla.
Al secondo rimbalzo gli era perfettamente sopra e caricò il suo destro con tutta la forza che aveva.
Lui. La palla. La porta. Appena dieci metri dalla gloria. E nessuno in mezzo.

La svirgolò.

Oltre al film della sua vita la sua mente proiettò anche chiare visioni di un futuro in cui era costretto pagare colazioni ogni giorno a tutta la classe per non essere preso in giro; in cui entrava nel campo della Virgilio Maroso vestito da majorette, ovvero l’unico ruolo che avrebbe potuto ricoprire dopo quell’errore; di suo padre che lo rinnegava come figlio in quanto incapace di segnare a porta vuota.

Il movimento a vuoto dovuto al quasi mancato impatto fra pallone e piede lo avrebbe portato a cadere a terra, ma Bruno assecondò la dinamica girandosi su se stesso in una piroetta e rimase in piedi.

Nell’interminabile tempo della sua buffa piroetta, oltre al film della sua vita e alle immagini che venivano da un probabile futuro, aveva visto lo sguardo feroce del terzino che stava correndo come una locomotiva per recuperare il suo errore e gli occhi spalancati di Giulio passare dallo sgomento all’entusiasmo perché aveva ciccato il tiro. Recuperato l’equilibrio vide quel bastardo di pallone a scacchi che andava verso la porta vuota. Lo aveva spizzicato, la sfera aveva deviato a destra la sua corsa dopo la spizzicata ma stava ancora andando verso la porta vuota. Anzi stava ancora andando dentro la porta vuota.

Scattò di nuovo verso il pallone quando arrivò su di esso sentiva arrivare la corsa disperata del terzino.

Poteva tentare di calciarlo nuovamente quel fottutissimo pallone a scacchi. Ma se lo avesse svirgolato ancora? Del resto il pallone stava entrando in porta, il problema era il terzino che accorreva alle sue spalle. Che fare?

“Daje Bru’… Daje porcaputtana.. daje!” la voce era quella di Andrea che lo esortava, lo sentiva distintamente in mezzo a un brusio di confusione che andava in crescendo.

Decise di andare sul sicuro e fare ciò che sapeva far meglio nel gioco del calcio. La protezione della palla. Si mise vicino al pallone che rotolava e sentì infrangersi contro le sue spalle la corsa del terzino che non riuscì ad oltrepassarlo. Non era piccolo Bruno, ci volevano quelli di sedici anni per contrastarlo fisicamente. Ed oltretutto come umanamente poteva pensare il povero Matticari che lui si mettesse a proteggere la palla?

Quando il pallone sorpassò la riga bianca fra i due pali, Bruno si fermò e lo guardò che si depositava in fondo alla rete rotolando piano.

Sentiva le risate di Massimo che stava letteralmente battendo i pugni per terra vicino alla panchina. Sentiva chiaramente i calci alla paratia in ferro dell’altra panchina. Calci e pugni, che l’allenatore avversario accompagnava con sonore imprecazioni. L’aveva capito immediatamente: una partita così non la riprendi più.
Sentiva Andrea che diceva “Questa la racconto fino a quando avrò cento anni!”
Per ultima cosa sentì il silenzio dei tifosi della Virtus e quindi cominciò a sorridere.

Raccolse il pallone in fondo alla rete e lo calciò altissimo; quindi guardò Giulio ancora in ginocchio e gli fece un inchino di riverenza prima di essere travolto dall’abbraccio dei suoi compagni di squadra.

Alessandro Chiometti