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Una routine insopportabile

Pubblicato il 9 Set 2024

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[racconto finalista alla VII edizione del concorso “Riflessi sul Lago” di Riva del Garda”]

Era sempre lo stesso rumore che lo svegliava, quello della caffettiera Lagostina poggiata sul lavandino in acciaio. Una moka gialla come il resto della cucina.

Non era un rumore violento, Elisabetta era sempre stata molto delicata in ogni suo momento, lo era sempre stata. Tuttavia quello era il rumore che ogni mattina lo svegliava da dieci anni.

Poi arrivava il rumore del barattolo Illy in metallo, in realtà contenente un caffè del mercato equo e solidale; veniva poggiato dalla credenza vicino alla caffettiera. Anche questo non era un rumore violento. Ma a quel punto Giorgio Annisanti era già completamente sveglio, così avveniva da dieci anni.

Poi il rumore della moka che veniva aperta svitandola, quindi il rumore dell’acqua che dal rubinetto riempiva la sua base, in silenzio avveniva il riempimento del filtro con il caffè e infine l’avvitamento per la chiusura. Le zigrinature dell’alluminio producevano sempre qualche cigolio, nonostante la delicatezza innata di sua moglie.

Il cicalio del piezoelettrico gli comunicava che era arrivato il momento di alzarsi, come tutte le mattine.

Non aveva nulla da rimproverare ad Elisabetta, aveva sempre fatto tutto il meglio per essere una brava moglie. Se lo ripeteva spesso.

E sempre più spesso, negli ultimi tempi, aveva pensato a come dirle che la stava per lasciare.

Ci aveva soltanto pensato però, ed era arrivato a quell’ultima mattina che avrebbero passato insieme continuando a pensarci.

Si alzò dal letto mentre la consuetudine degli stessi rumori mattutini in cucina continuava. Le tovaglie, le tazze, i cucchiai, i biscotti o il dolcetto di turno.

Un mese prima Giorgio aveva nascosto una microtelecamera nel lampadario della cucina per verificare se i rumori corrispondevano a quelli che lui indovinava; la corrispondenza era stata perfetta.

La microtelecamera… l’aveva messa per quello, assurdo vero? Una telecamera degna dell’FBI, pagata qualche centinaio di euro sul web, solo per vedere che i rumori che sentiva produrre da sua moglie, ogni mattina erano quelli che effettivamente si aspettava che fossero.

Un congegno comprato di nascosto e poi, una volta servito al suo scopo, buttato via, insieme ai filmati che aveva registrato; perché va bene che ognuno ha le sue stranezze, ma molto meglio per tutti che queste restino confinate nei muri di casa.

Giorgio affrontò la routine del bagno senza particolari pensieri oltre a quello solito: “Come glielo dico?”

Tre mesi prima sarebbe stato più semplice, magari lei avrebbe pianto, avrebbe urlato, ma alla fine si capisce che è una cosa che capita.
Capita che intorno ai quaranta ci si invaghisca di una donna giovane, che si abbia voglia di ricominciare da zero, lasciare tutta la routine di un decennio. Soprattutto se non si hanno figli può capitare.

Elisabetta forse gli avrebbe tirato di tutto come nelle scenette da commedia teatrale, però alla fine anche lei avrebbe capito.

Brutta cosa essere vigliacchi. E ora? Si sarebbe presentato di là, con il borsone da tennis pronto da giorni e nascosto nell’anta dell’armadio e gli avrebbe detto addio?

Sì, non c’era altra soluzione, pensò finendo di radersi e guardando i propri lineamenti riflessi nello specchio.

Gli anfibi, i jeans, una t-shirt e una felpa, quest’ultima forse eccessiva per quella fine di maggio sul Lago di Selladoro, ma sempre meglio portare qualcosa in più che qualcosa in meno, in certe occasioni.

Prese il borsone e ne saggiò il peso; non era eccessivo, poteva andar bene.

Uscì dalla camera e arrivò in cucina nel momento in cui Elisabetta aveva finito di versare il latte e il caffè nelle due tazze; poggiò il borsone fuori dall’ingresso e si accomodò al suo consueto posto nell’ampio spazio dell’isola posizionata di fronte ai fornelli della cucina.

“Buongiorno amo’… sei già vestito?”
“Mmm sì.” Rispose incerto, e si soffermò a guardare il vapore che saliva dalla sua tazza. Gli ricordò quella notte di tre mesi prima in cui la nebbia saliva dalla superficie dell’acqua del lago. Era un ricordo che rendeva ancor più complicata la situazione.

“Ma cos’è quel borsone? Vai a giocare a tennis?”

“Mmm cosa?” Cercò di guadagnare tempo fingendo di non aver capito la domanda.

“Il borsone, cos’è?, Vai a giocare a tennis dopo il lavoro? ”

“Umf… non proprio, poi ti dico.”

Elisabetta non proseguì con le domande, e anche lei si sedette prendendo fra le mani la sua tazza della colazione e cominciò a sorseggiare il caffè.

Giorgio non la guardò, sapeva che avrebbe visto il latte e il caffè cadere in gocce più o meno grandi sul bancone, cosa che ormai succedeva ogni maledetta mattina da tre mesi, ed era proprio una di quelle cose che non poteva più sopportare.

Con gli occhi bassi, inzuppò gli Oro Saiwa nel suo latte e caffè ben caldo e lì mangiò, mentre sentiva quell’inesorabile plick plick dalla parte opposta del bancone; come ogni mattina si ritrovava a pensare “Come fa a non rendersene conto? Cristo santo, come fa a non rendersene conto che sta cadendo il suo latte e caffè invece di andare nel suo stomaco?”

Finì i biscotti e poi finalmente disse: “Eli, io devo andare”

“Vai al lavoro, certo lo so.”

“No Eli, vado via.”

“In che senso?”

“Via. Me ne vado Eli, per un bel po’ non potrò tornare!”

“Ma Giorgio, sei impazzito? Scherzi? Dai è un tuo scherzo, lo so!”

“No Eli… devo andare via… e per un bel po’!”

“Ma che significa?” Poi Elisabetta si ricordò del borsone sul corridoio e si avventò su quello scavalcando direttamente l’isola, aprì la zip; dentro c’erano diverse mutande e calzini, asciugamani magliette, un paio di scarpe e quattro libri. Non certo il necessario per una partita a Tennis.

“Giorgio ma cosa significa?”

“Elisabetta ascoltami, abbiamo poco tempo prima che…”

“Ma perché? Giorgio cosa è successo? Devi andare via per lavoro? Ma se non lo hai mai fatto…”

“Eli ascolta, non è per il lavoro…”

“Oddio… hai un altra! Mi stai lasciando!”

“No Eli, non ce l’ho più un altra.”

Elisabetta lo guardò con gli occhi fuori dalle orbite e cercò di capire: “Cosa vuol dire che non ce l’hai più… ma cosa vuoi dirmi Giorgio, ti prego…”

“Eli è complicato… tra poco suoneranno alla porta e..”

“Chi suonerà alla porta?”

“Eli stammi a sentire Cristo Santo!” Urlò Giorgio Annisanti con tutto il fiato, guadagnandosi il silenzio della moglie.

“Allora… io… tre mesi fa io… Cioè un anno fa ho conosciuto Katiuscia e… te la ricordi Katiuscia almeno?”

Elisabetta si limitò a scuotere la testa.

“E certo, tu non te la ricordi… umf.. non ricordi nulla e io come faccio a spiegarti… cioè è che per cambiare vita servono un sacco di di soldi.. e gli avvocati invece chi poteva affrontarli… allora io volevo spiegarti ma poi… tu quella notte che sei venuta a fare in riva al lago Eli? Mi avevi seguito?”

“Giorgio… ma cosa stai dicendo? Sei impazzito?” .

“Eli io…”

Il suono del campanello di casa lo interruppe e Giorgio guardò l’orologio: segnava le 7 e 30. Loro erano puntualissimi come da accordi, lui invece come al solito aveva perso tempo. Abbassò la testa in segno di resa, poi si diresse al portone di entrata, tolse il catenaccio e lo aprì.
Apparvero due carabinieri in divisa.

“Giorgio Annisanti?”

“Sì Maresciallo, prendo la borsa e vengo.”

Giorgio si diresse verso il borsone, chiuse la zip, mentre Elisabetta, gli chiedeva: “Giorgio… ma che significa? Cos’hai fatto?”

Lui si mise il borsone a tracolla la guardò e le disse: “Penso che lo scoprirai, comunque mi dispiace.”

Il maresciallo dei Carabinieri lo guardò perplesso e chiese: “Con chi stava parlando Annisanti?”

“Con nessuno Marescia’, con nessuno!”

L’uomo in divisa guardò il corridoio della casa completamente vuoto, fece qualche passo all’interno; osservò la cucina dove c’erano i resti di una colazione sbrigativa, una delle tue tazze era probabilmente caduta sul piano dell’isola rovesciandone lì il contenuto.
Il carabiniere si guardò attorno senza vedere nessuno, poi si strinse le spalle, usci dal portone della casa chiudendolo e si incamminò verso le volanti pronte per consegnare Giorgio Annisanti al carcere.

Da: Abruzzonline.com 25 maggio 2024

Arrestato con l’accusa di uxoricidio Giorgio Annisanti. Il corpo della moglie Elisabetta Gemini, murato in un doppio intercapedine in un casolare disabitato nelle montagne, è stato ritrovato su indicazioni dello stesso omicida che negli ultimi tre mesi ne aveva inscenato la scomparsa. Annisanti si è dichiarato colpevole ma si rifiuta per ora di dare spiegazioni sulle motivazioni del suo gesto e del suo successivo pentimento.