Roberto non amava i bambini. Anzi, gli stavano davvero antipatici.
Non metteva bocca nelle scelte dei suoi amici che sembravano fare a gara per chi avesse la copia perfetta della famiglia del mulino bianco, ma con i suoi quarant’anni era sempre più convinto di aver fatto la scelta giusta. “Basta con il mettere al mondo marmocchi!” aveva detto a Laura, la sua ultima compagna, aggiungendo: “In sette miliardi su questo mondo siamo già troppi!” chiudendo così la discussione. E anche il loro rapporto.
Cercava di non trovarsi in quelle cene dove i suoi amici si riunivano con le loro famiglie, ma Alessandro era stato insistente e alla fine quella sera aveva ceduto, tuttavia immaginava di essere stato invitato per conoscere qualche loro amica single. Infatti puntualmente, neanche il tempo di entrare e… “Ciao Roberto, lei è Federica”. Single sì, ma separata con bimbo di sei anni al seguito.
Anche se aveva capito subito che con quella donna lui era pressoché incompatibile, era stata una cena piacevole finché i bambini erano stati relegati a giocare e cenare nella stanza a fianco. C’erano Tommaso e Sara di nove anni, gemelli di Alessandro e Silvia; Augusto di otto e sua sorella Samantha di sei anni, figli di Paolo e Lucia e infine Cesare, il figlio di Federica e… di qualche mascalzone idiota, stando ai commenti della serata.
Ma ora, finita la cena, i piccoli mostriciattoli scorrazzavano liberi per la casa strillando con le loro voci acute, facendosi i dispetti e correndo a frignare dai rispettivi genitori appena avessero ricevuto una spinta un poco più forte delle altre. Lucia, la moglie di Alessandro, aveva subito organizzato qualche gioco collettivo in modo da tranquillizzarli, dando il tempo agli altri di prendere il caffè.
Roberto stava giusto ragionando sulla scusa con cui svignarsela quando Samantha arrivò con un foglio scarabocchiato e glie lo piazzò davanti agli occhi.
“Cos’è?” gli chiese la piccola.
“Tesoro, tu chiedi a me cos’è?” ribatté.
“Sì, è un gioco!”
“Come?” Alzò gli occhi con espressione interrogativa cercando qualcuno che lo potesse aiutare. Venne in suo soccorso Silvia: “Sì Roberto, è un gioco: loro hanno disegnato qualcosa presente in questa casa e tu devi indovinare che cos’è”.
“Ah ma che splendido gioco!” disse sperando di non far trapelare il “Ma che palle!” che era il suo vero pensiero. Prese in meno il foglio e lo guardò e vide una massa informe di rosso verde e blu sul foglio di quaderno.
“Beh questo è indubbiamente… un… un coso!” Samantha rise di gusto “Ma no zio, non è un coso!”.
“Zio un cazzo” pensò, ma la sua voce diplomatica disse “Eh… se non è un coso… allora… allora mamma Silvia ha comprato un quadro di arte moderna negli ultimi tempi!”
Stavolta furono i grandi a ridere, fino a quando la piccola Samantha non riprese il foglio e disse: “Ma no zio guarda dietro di te, sono i gomitoli di lana!”
Effettivamente dietro di lui in bella mostra sopra al camino c’erano dei grossi gomitoli di lana con tanto di ferri da maglia in un cesto di vimini. Uno rosso, uno verde e uno blu ovviamente. Nel frattempo gli altri bambini stavano invitando gli altri adulti a indovinare quello che avevano disegnato. Un telefono, un frigorifero o una sedia.
Anche se Silvia ci sapeva fare con i bambini lui restava della sua opinione. Meglio solo tutta la vita che con questi mostriciattoli al fianco! E mentre pensava così non si accorse di Augusto che gli porgeva un altro foglio fino a che il bambino non gli scosse la gamba. Si girò svogliato, prese in mano il disegno ma questa volta rimase sorpreso. I tratti neri del pennarello, che sembravano usciti da una mano decisamente più adulta, mostravano l’abbozzo di un volto, anzi di una maschera anonima per comparse teatrali. I tratti esterni al perimetro della maschera erano zigzaganti e quasi continui dando perfettamente l’idea dello sfocato, gli occhi erano ellissi ben definite e come la bocca erano laghi di oscurità nel bianco della maschera. “Accidenti… Lucia hai un figlio talentuoso nel disegno eh? Guarda che maschera che ha disegnato!”
Lucia si voltò perplessa: “Ma che dici Robe’? Augusto è bravissimo a pallone e con i lego, ma non disegna quasi mai… è proprio negato!”
“Beh mia cara, si vede che ha sviluppato delle qualità.. guarda qui che lavoro!”
Lucia guardò la maschera disegnata dal figlio e rimase a bocca aperta. Poi chiamò il marito: “Paolo… Paolo, guarda tuo figlio che ha disegnato!”
Paolo si girò e commentò: “Accidenti, abbiamo a casa un vero Picasso”
Roberto ascoltò un po’ i due genitori crogiolarsi lodando il figlio poi si voltò e Augusto era ancora lì davanti a lui. Lo guardò e gli chiese: “Dove hai trovato quella maschera, piccolo?”
“Non è una maschera, è il signore dietro di te”
Roberto si voltò di scatto alzandosi istintivamente in piedi, ma la luce di casa si spense. Nel buio inciampò nella sedia cadendo e battendo pesantemente la testa sullo bordo del tavolo perdendo quindi i sensi. Quando, poco dopo, si riaccese la luce tutti corsero ad aiutarlo e dopo un po’ si risvegliò con Alessandro che gli stava spruzzando dell’acqua fresca in volto mentre Silvia gli premeva il ghiaccio sulla fronte dove spuntava un bernoccolo.
“Come va? Come stai Robe’?” gli chiedeva Alessandro “Andiamo all’ospedale?”
“Ma no che ospedale… ora mi riprendo, tranquilli” ma la testa gli girava e la vista si offuscava, provò a parlare “Ammazza che botta… oddio mi sa che non sto bene… chi è quello vicino a Federica…” e poi svenne di nuovo.
In quel momento Cesare consegnò il suo disegno alla sua mamma che nonostante la confusione lo prese in mano. Per un attimo pensò che suo figlio avesse raccolto il disegno fatto da Augusto, ma poi vide per terra il foglio di cui parlavano prima del breve black out. Lo raccolse e li confrontò: identici. Due disegni identici su quei fogli di quaderno strappati a mano, era quasi impossibile.
“Cesare ma cosa…”
“È il signore dietro di te, mamma!” Federica si voltò proprio mentre la luce si spense di nuovo. Sentì delle braccia afferrale le spalle, poi qualcuno che le si avvicinava al viso. Pensò che qualcuno stesse cercando di baciarla, poi sentì un disgustoso alito fetido ma, prima che potesse urlare, arrivò il dolore: le sue labbra strappate dal morso di una belva. Cominciò ad urlare, si aggiunsero le urla degli altri. Un nuovo morso le recise carotide e corde vocali e cadde in silenzio agonizzante.
Si riaccese la luce. Questa volta tutti videro i cinque individui con le maschere anonime di fronte a loro. Urlarono ma invano, la luce si spense di nuovo e cominciò il massacro. Attraverso la poca illuminazione che arrivava dalle finestre Roberto, cominciando a rinvenire, vide confusamente scene allucinanti. Le urla strazianti facevano da contorno a schizzi di sangue e parti di corpi umani che volavano ovunque in quella penombra assurda, come se stesse osservando in un quadro infernale di qualche pazzo artista medievale. Si coprì gli occhi con le braccia urlando. Fino a quando non rimase solo lui a urlare; allora si azzittì e faticosamente si rialzò in piedi. Cinque uomini, anzi tre uomini e due donne con le maschere anonime erano in piedi nella penombra di fronte a lui, in un lago di sangue e pezzi di corpi umani. Sperò che lo uccidessero in fretta, ma loro si incamminarono verso la porta e uscirono. L’ultima di loro si girò e gli disse con una voce acuta e stridente: “Grazie per averci liberati, zio Roberto”. Nei lunghi anni che passò nelle celle imbottite del nosocomio criminale non dimenticò mai che quella era la voce della piccola Samantha.