Parte I – Di coincidenze stronzette.
Sospirò e cercò di concentrarsi nella lettura del suo giornale cartaceo, Angelo era l’unico a possedere una copia di quelle reliquie dei tempi andanti nella sala del pronto soccorso.
Tuttavia non resistette a lungo a leggere delle imprese di Donald Trump al di là dell’oceano, tornò a guardare la donna seduta poco distante e il suo zigomo gonfio e livido. Quel viola bluastro faceva male solo a vederlo.
Quindi si alzò e uscendo dalla sala di attesa andò verso la sua macchina; con il permesso rilasciato per accompagnare un disabile aveva potuto parcheggiare vicino all’entrata. Aprì il bagagliaio e dalla sua cassetta personale di primo soccorso prese il ghiaccio istantaneo, innescò la reazione che lo avrebbe reso freddo in pochi secondi e rientrò.
Si avvicinò alla donna e glie lo porse dicendo: “Nell’attesa, questo aiuterà.”
Lei alzò gli occhi e a quella distanza lui poté apprezzare la strana eterocromia di un iride marrone scuro a destra e l’altro azzurro a sinistra. Se il portamento e l’eleganza della donna erano stati tali da aver attirato, semplicemente entrando lì, l’attenzione di tutti gli uomini e tutte le donne presenti ora Angelo poteva apprezzare tutta la bellezza, non certo comune, dei lineamenti di quel volto.
Un miscuglio genetico di etnie le donava una pelle leggermente olivastra che contrastava con i lineamenti decisi, di stampo nordico, del suo volto; i capelli castani lunghi e mossi incorniciavano quella perfezione.
Perfezione deturpata dal brutto livido, ovviamente. Poteva avere venticinque come quarant’anni pensò Angelo, mentre lei continuava a guardarlo perplessa; insistette: “È ghiaccio, diminuisce il dolore.”
Lei non mutò di una virgola la sua espressione, e disse:”Grazie, ma non fa male.”
Alzò un sopracciglio, fermando il sorriso ironico che gli stava per uscire: “Ah no? Meglio così allora.” Disse stringendosi le spalle, stava quindi per lasciare il pacco gelato sulla sedia vuota al suo fianco quando la mano di lei gli fermò l’avambraccio: “Tuttavia…”
Ora lo sguardo eterocromico che prima sembrava scolpito nel granito lasciava il posto quasi a una supplica di tenerezza; “Tuttavia.” Ripeté lui sorridendo.
Lo lasciò nella sua mano e tornò a sedere dove aveva lasciato il giornale. Una volta seduto alzò gli occhi, i suoi erano entrambi azzurri anche se più chiari dell’azzurro intenso dell’occhio sinistro di lei, vide che lo stava guardando mentre teneva premuto il confortante gelo sul lato del viso gonfio e tumefatto; quello dell’occhio marrone.
“Grazie!” disse lei quasi sottovoce scandendo le lettere con la bocca. Lui alzò il pollice come se fosse Fonzie ma la sua bocca si produsse in una smorfia più che in un sorriso, poi tornò ad aprire il giornale.
Nella sala c’erano una decina di persone; nonostante fosse il primo pomeriggio di un martedì qualunque non mancava mai chi doveva ricorrere alle cure dei sanitari. Dopo qualche minuto la porta di emergenza si spalancò e un lettino con il suo sfortunato degente attraversò la sala di attesa a tutta velocità con gli operatori del 118 che lo spingevano affannosamente e incitandosi l’un l’altro a far presto. Si aprì la porta del vero Pronto Soccorso, dove i pazienti venivano chiamati uno per uno a seconda dei turni, e scomparvero tutti al suo interno.
Era una brutta notizia per i codici verdi lì presenti che avrebbero visto senz’altro prolungare la loro attesa; la maggior parte delle persone presenti in sala scosse la testa e tornò alle proprie attività on line sugli schermi dei cellulari.
Gli sguardi dei due si incrociarono di nuovo e Angelo stavolta coordinò la bocca in un sorriso più accettabile della volta precedente.
Lei si alzò e andò a sedersi nella sedia di fronte a lui, le sedie anonime della struttura sanitaria erano disposte in file opposte e parallele, quasi volessero incitare i pazienti a guardarsi. Mentre percorreva quei pochi passi Angelo ebbe modo di apprezzare la sua altezza non comune (con un tacco importante sarebbe stata di certo più alta di lui che pure misurava un metro e ottantacinque) una magrezza eccessiva che si notava facilmente nonostante la felpa comoda che cadeva sui dei jeans con taglio morbido. Apprezzò anche la sua camminata decisa, quasi stesse entrando in una scena teatrale. Se avesse scoperto che era una modella Angelo non se ne sarebbe stupito.
Si trovarono quindi seduti uno di fronte a l’altro a poco più di un metro di distanza e lei disse: “Grazie davvero, sta facendo effetto questo freddo.”
“Beh… per una botta del genere è essenziale… lo dovrebbero dare fin dall’accettazione ma… vabbè sappiamo come stanno messi no?”
“Si figuriamoci, già tanto che non ci mandano via.” Si fermò un attimo poi continuò: “Lei però sembra che stia bene, cosa ci fa qui?”
“Dammi del tu che mi fai sentire vecchio, sì sto bene… sono qui perché ho accompagnato mio suocero che stamani ha avuto dei giramenti di testa… forse uno sbalzo di pressione.”
“Ah, sei sposato.” Disse senza particolari inflessioni della voce.
“Separato in realtà.”
“Come separato ma se hai detto che…”
“Sì… vabbè, aveva bisogno e io ero libero, quindi, no problem.”
“Eh, fai presto a dire ‘no problem’… mica lo farebbero tutti.”
“Lo so bene… sono avvocato, puoi immaginare quante ne vedo.”
“Avvocato? Ah però, che bello! È sempre utile conoscere un avvocato!”
Lui la guardò e, come se lo avesse letto nel pensiero, si precipitò a chiarire: “Oh no no, non dicevo mica per sta cosa di oggi eh… no qui ho fatto un casino io che ho…”
“…sbattuto sulla porta scivolando.”
Lei lo guardò e per un attimo Angelo percepì in quei due occhi così strani un odio profondo, eccessivo per aver smascherato la classica scusa di una donna picchiata; in quell’attimo pensò che fosse una donna capace di uccidere qualcuno.
La donna continuò con un tono molto meno confidenziale di prima: “In realtà ho sbattuto sul lavandino del bagno.”
“Capita, le case sono pericolose, un sacco d’incidenti succedono in casa.”
Ora lei restò in silenzio, come se stesse cercando di capire quanto fosse ironico o stronzo, lui comunque non attese il giudizio: “Comunque mi chiamo Angelo, piacere.”
“Katia.” Rispose ancora dubbiosa, poi ritrovò un sorriso e aggiunse: “Kappa, per gli amici.” Allungò la mano che lui strinse prontamente.
“Dicevi sul serio sugli incidenti in casa?”
“Cioè?”
“Che capitano spesso? Cioè è che mi sono sentita così sciocca… e che poi ero sola a casa e quindi ho detto andiamo al Pronto Soccorso, hai visto mai che mi sono rotta qualcosa.”
“Certo che sono serio, sono un avvocato, non sai le cause che devo intentare perché uno si è fatto male con i cassetti del comò e vuole querelare il mobilificio o cose del genere. No davvero, a casa uno si sente tranquillo, quindi abbassa la guardia e bum! è lì che succede il disastro.”
“Angelo!” Un uomo anziano lo stava chiamando dalla parte opposta della sala.
“Eccomi Robe’, ti lasciano andare allora?” Chiese alzandosi.
“Ma sì, dicono che forse è stato il tempo… boh!”
Angelo raccolse il giornale e il suo borsello, “Ciao Kappa, peccato incontrarsi in una situazione non piacevole.”
“Davvero un peccato, ma il ghiaccio…”
“Tienilo, ne ho diversi.” Poi ci pensò un attimo, aprì il borsello e tirò fuori un biglietto da visita e glie lo porse, quando lo prese aggiunse sottovoce: “E stai attenta che i lavandini sono cattivi quando si arrabbiano.”
Lei abbassò lo sguardo e mormorò “Stronzo.”
Parte II – Di casualità aiutate
“Il conto è già stato pagato ragazze.”
“Come?”
“Vi hanno offerto i drink, non dovete pagare nulla.”
Katia e la sua amica Susanna si guardarono l’un l’altra e poi scrutarono il locale. Non vedendo nessuna faccia conosciuta o ammiccante, Katia si rivolse ancora al bartender: “Ma chi ce l’ha pagati?”
“Beh, quel ragazzone elegante con la giacca nera… aspetta era seduto con… era seduto lì, con quei suoi amici che sono ancora lì e lui… ah è fuori a fumare!” Disse indicando la notte all’esterno illuminata da piccole lucine rosse dovute a combustioni di tabacco fuori delle vetrate.
Susanna sorrise: “Beh grazie allora, anche se a saperlo prendevamo qualcos’altro!”
“Davvero, proprio stasera che ci siamo contenute! Ah ah ah” – Rise Katia – “comunque se è qui fuori vado a ringraziarlo.” Anticipò quindi Susanna che restò a parlare con il ragazzo alla cassa; appena giunta all’esterno vide Angelo che stava spegnendo la cicca nell’apposita colonna. Poco distante da altri due tabagisti che si davano al loro vizio preferito.
“Ciao!” disse lui.
“Ah… sei tu. Ciao!” Disse titubante Katia, poi sorrise: “Grazie per i drink, ma non era il caso!”
“Figurati, ti ho riconosciuta e… niente. Tutto ok?”
“Sì sì… è che… no vabbè, non mi ricordo come ti chiami, scusa.”
“Angelo.”
“Ah sì, il mio angelo del ghiaccio, tre mesi fa.”
“Iceman, per gli amici!”
“Ah ah ah, ma non eri un avvocato?”
“Nel tempo libero sì, per il resto faccio il supereroe.”
Katia rise, stavolta in modo più scomposto piegandosi in due e tenendosi la pancia. Angelo pensò che era un suono davvero gradevole anche se sguaiato.
“Scusa eh.. il supereroe a tempo libero mi ha ucciso proprio… ci voleva dopo una giornata di merda.”
“Come mai una giornata di merda?”
“Eh.. lascia stare…”
“Eppure mi sembra che la tua mostra sia andata bene, oggi… alla galleria Morandi.”
Dal viso di Katia scomparse ogni sorriso e lo squadrò dall’alto in basso. Il tacco dello stivale le concedeva qualche centimetro in più di lui, effettivamente. Il trench nero in stile gotico poi le donava quasi un’autorità militare.
“Mi hai seguito?” Chiese in tono accusatorio.
“Ohi, rilassati! Non sono mica un maniaco… sono passato davanti alla galleria e ti ho riconosciuta dall’autoritratto che hai usato come locandina. Sono entrato ma.. ho visto che c’era un sacco di gente ed eri impegnatissima quindi non sono stato a importunarti, poi ho visto che entravi qui e…”
“Quindi mi hai aspettato. Quindi mi hai seguito.”
“Uffa… ho visto che entravi con la tua amica qui al Times e.. sì sono entrato anch’io per vedere la situazione ma c’era Toni e mi sono messo a fare due chiacchiere. Poi quando ho visto che stavate per uscire vi ho anticipato alla cassa, tutto qua. Scusa se ti ho dato fastidio, non era mia intenzione.”
“Allora è lui che dobbiamo ringraziare?” Susanna uscita anch’essa dal locale si inserì nella conversazione.
Lui sorrise ma prima che potesse rispondere Katia lo anticipò: “Mica lo so se lo dobbiamo ringraziare!”
Angelo produsse uno dei suoi sorrisi smorfia e allargò le mani, Susanna lo tolse dall’imbarazzo: “Ah-ahhh sei un amico di Kappa ecco perché ci hai offerto da bere!”
“Non proprio ma…” cercò di dire Angelo ma fu di nuovo interrotto da Susanna: “Oh niente ma, grazie e… mi chiamo Susanna e tu? Oh, ti do del tu, visto che conosci la mia amica artista, va bene?”
“Sì certo… piacere Angelo.”
Angelo attese una mano da stringere ma Susanna già si era rivolta a Katia: “Ciao Kappa, ti lascio con il tuo amico che io devo correre a casa, tanto hai la macchina tua, giusto? O sennò chiami un taxi, giusto?”
“Susy ma dove caz…”
“Ciao ciao, scusami ma mi scade la baby sitter, fai la brava eh!” Aggiunse sorridendo maliziosamente e poi scomparendo dietro l’angolo del locale.
“Stronza.” sentenziò Katia.
“Perché?” Chiese Angelo.
“Perché non ha figli. E io non ho la macchina.”
“Un passaggio si trova.” Disse Angelo.
“E le sigarette ce l’hai?”
“Mezzo pacchetto.”
“Bravo Ice, andiamo! Hai vinto un lavoro da taxista. Non pagato, però”
“Ogni tanto un colpo di fortuna!” Disse sorridendo.
“Solo uno che non mi conosce può dire così.”
“Wow! Look e presentazione degni di una dark lady misteriosa, bello! Promette bene!”
Katia, suo malgrado, sorrise.
Parte III – Di quelle notti da non dormire mai
La lingua di lei si infilò fra i denti di Angelo senza chiedere permesso. Così come senza permesso si era mossa con la rapidità di una pantera, dal posto del passeggero gli era praticamente saltata sopra e dato il via ad uno dei baci più appassionati che lui avesse mai provato in vita sua.
Non se lo aspettava, non in quel momento.
Non ad un paio di ore dall’uscita dal Times quando, dopo aver parlato un po’ delle proprie vite, lui aveva ammesso che l’aveva rintracciata dopo aver sbirciato il suo cognome nel ticket di ingresso del pronto soccorso. Lei era andata man mano arrabbiandosi per questo pedinamento e lui, che non sapeva più come giustificarsi, si stava quasi aspettando uno schiaffo da un momento all’altro.
Invece ora era a lì ad assaggiare il sapore della sua lingua, del tabacco e dei gin tonic consumati prima. Un sapore che all’inizio lo stordì per un po’, poi gli procurò un’erezione che in pochi minuti divenne quasi dolorosa. Anche attraverso i suoi pantaloni e i jeans di Katia non poteva non essere fonte di eccitazione anche per lei che, infatti, cominciò strusciare l’inguine sul quello di lui sempre più rapidamente come se stesse avvenendo una penetrazione.
La mano di lei smise di tenergli la testa e scese fino ad aprire la zip dei suoi pantaloni ma prima che potesse andare oltre lui la fermò.
Lei lo guardò con aria interrogativa e lui chiese: “Perché farlo in macchina se vivo da solo?”
I suoi occhi eterocromici quasi brillarono, ma inaspettatamente gli mollò un morso sul lobo dell’orecchio.
“Ahia!”
Lei sorrise maliziosamente e disse: “Ice… ti faccio un piacere. Me ne vado.”
Tornò sul sedile del passeggero e afferrò il trench di pelle dal sedile posteriore.
“Ma che fai?”
“Vado a casa. Ah, vivo da sola anche io, non ho bisogno di casa tua per divertirmi.”
“Allora invitami a salire!”
“No.”
“Perché?”
“Perché sono un disastro, perché faccio solo casini, perché poi mi incasini la vita. E io rovino la tua.”
“Ma cosa cavolo…”
“Fidati.” Scese repentina e chiuse lo sportello dell’Audi sbattendolo forte.
Lui restò senza parole a guardarla prima camminare decisa come se fosse un gendarme in una parata militare, poi aprire il portone del suo palazzo ed entrarci dentro. Il tutto in neanche un minuto da quando stava facendo una dei petting più eccitanti della sua vita.
“Ma questa è pazza.” Disse ad alta voce, poi il suo smartphone emise un bip legato alla messaggeria WhatsApp.
Il contatto “kappa” aggiunto un’ora prima scriveva: “Scusa!”
Parte IV – Dei falsi risvegli
Angelo nudo nel letto guardava il soffitto dell’ampio monolocale di Kappa. Lei fumava alla finestra ancora un’altra sigaretta.
Gli era già capitato di essere così sconvolto per delle ore di sesso. Almeno una volta, per quanto potesse ricordare. Quando a vent’anni non ancora compiuti aveva incontrato la sua nave scuola, ovvero Simonetta, segretaria quasi trentenne della segreteria della facoltà di Giurisprudenza a Perugia.
I suoi occhi azzurri e il suo fisico da quarterback americano, che ci teneva a mantenere e mettere in evidenza, gli avevano già fatto capire che non avrebbe avuto problemi in vita sua a trovare delle ragazze. Ma l’iniziazione a saper far sesso e saper far godere una donna era qualcosa che non si poteva apprendere sui siti porno, fortuna per lui che grazie alle centocinquanta ore di lavoro retribuito per studenti garantite dall’Adisu era entrato in quella segreteria e aveva conosciuto Simonetta.
A venticinque anni di distanza si trovava sdraiato su un letto a fissare il soffitto sconvolto come allora, dopo tre orgasmi stava realizzando come Kappa sapesse muovere i muscoli della sua vagina così bene tanto da farlo venire a comando. Con un sorriso da demente stampato in faccia, ovviamente.
Per questo non si rese conto subito del rapido precipitare degli eventi. Kappa che cominciò a bestemmiare di fronte alla finestra e il suo spegnere freneticamente la sigaretta nel posacenere erano delle immagini che percepì quasi irreali, fino a quando la sua voce lo scosse.
“Vestiti, cazzo. Ho detto vestiti.”
“Kappa? Ma che…”
Il suono del citofono lo riportò alla realtà, guardò il suo Casio al polso, l’unica cosa che avesse indosso, indicava le 3.46 di mattina.
“Cazzo, ho detto fuori dal letto!”
“Ma porc… ma chi cazzo è a quest’ora?”
“È lui, cazzo, è lui! Vestiti che è un casino!”
“Ma lui chi?”
“Stocazzo, ma che sei ritardato? Chi deve essere secondo te? È Carlo.”
Il citofono non cessava di emettere quel suon da allarme di portaerei in fiamme, Angelo che si era alzato in piedi e infilato i boxer, guardò Kappa e provò a dire: “Kappa, stai calma e…”
“Calma un cazzo ritardato! Vestiti e scappa, quello è pazzo.”
Angelo fu colpito da quelle parole come se lo avessero presi a calci in faccia, la sua mente razionale tornò in un attimo: “Ehi Kappa! Calmati! Io non scappo da nessuna parte chiaro? Ma che credi di essere in un film? Che facciamo la scena comica con io sul balcone in mutande?”
“Ritardato! Quello è matto se entra ti uccide.”
“Ritardato lo dici a tuo fratello e a tre quarti della palazzina tua, capito?” Non aveva urlato ma ci era andato vicino e il momentaneo silenzio del citofono aveva messo ancora più in evidenza il tono deciso.
Kappa si fermò e lo guardò con i suoi due occhi eterocromici in cui Angelo per la prima volta vide il terrore. Ma non riuscì a capire per chi provasse terrore.
“Ha le chiavi?”
Kappa, non rispose in un primo momento, Angelo ripeté la domanda ad un tono più alto. “Ho detto, ha le chiavi cazzo? Sennò può suonare quel pulsante tutta la notte e tu non azzardarti a rispondere.”
“Sa che sono qui…” pigolò Kappa.
“Come lo sa?” Intanto il citofono riprese a suonare.
“La macchina…”
“La macchina non vuol dire un cazzo, ha le chiavi o no?”
“Ha la mia posizione su Whatsapp…”
“Cazzo! Ma non mi hai detto che vi eravate lasciati?”
“Angelo io…”
“Lascia stare. Ripeto la domanda, ha queste cazzo di chiavi di casa o no?”
“Sì…”
“Bene.”
“Come bene? Devi andare al piano di sopra mentre io…”
“Col cazzo Kappa. Ora la chiudiamo qui.”
“Ma…”
“Sono un avvocato, lasciati servire.” Angelo si infilò i pantaloni rapidamente, quindi la t shirt e mentre il citofono smetteva di suonare, prese il cellulare, toccò qualche tasto e se lo mise in tasca. Poi prese le sigarette da sopra il comodino se ne accese una e prendendo una sedia si sedette alla maniera dei cowboy davanti alla porta di ingresso, ma a qualche metro di distanza.
“Sei cretino? Ma che cazzo credi di fare?”
Angelo non disse niente e attese.
Prima arrivarono le urla dalle scale, poi il rumore della chiave nella toppa che ruspava freneticamente, infine la porta si spalancò e apparve Carlo.
Barba lunga e scura, capelli tagliati di merda come voleva la moda imperante, tatuaggi su entrambe le braccia in bella mostra grazie alle maniche della camicia arrotolate, più alto ma meno piazzato di Angelo.
“E tu chi cazzo sei?” Fu l’esordio amichevole.
“Sono Angelo. Un amico di Kappa. E tu invece?”
“Io sono il marito.”
“Kappa non è sposata,”
“Il compagno, va bene? E comunque io sono quello che adesso…”
Angelo estrasse lo smartphone con la chiamata di emergenza in corso, il numero del 112 con la cornetta verde era in bella evidenza.
“Tu sei quello che adesso si da una bella calmata mentre aspettiamo la polizia, che ne dici? A proposito… agente all’ascolto mi sente?”
“Sì certo, chi parla?” la voce del vivavoce era un po’ metallica ma chiarissima.
“Sono l’avvocato Mannaioli Angelo, mi trovo in via Palermo numero 11, al secondo piano. C’è una brutta situazione che potrebbe degenerare in una rissa, potete mandare una pattuglia per favore?”
“Certo, sta arrivando.”
“Grazie, può attendere in linea così il tizio che ho di fronte che non vuole qualificarsi mantiene la calma per favore?”
“Sicuramente.”
“Allora, presunto marito o compagno di Katia, aspettiamo la polizia insieme? Ti va? Almeno facciamo due chiacchiere nel frattempo, no?”
Carlo prima alzò il dito indice verso Angelo, poi sputò per terra e disse: “Non finisce qui.”
“No, di certo ma per te sarebbe meglio che finisse qui.”
Carlo si voltò e cercò di prendere le chiavi dalla porta, ma subito la voce di Angelo lo fermò: “Quelle le lasci lì, sulla porta, che questa non è casa tua.”
Lui si voltò e lo guardò con odio, ma Angelo non si fece mettere paura. “Questa non è casa tua, sono stato abbastanza chiaro? Lascia lì quelle chiavi e forse non ti becchi una denuncia per essere entrato abusivamente e senza preavviso.”
“Vaffanculo. E Vaffanculo anche tu troia di merda, tanto ti ritrovo in giro. Puttana! Mi hai sentito? Ti ritrovo, capito?”
“Kappa ti ha sentito chiaramente. Io ti ho sentito chiaramente… e anche il poliziotto al telefono, vero agente?”
“Certo, inoltre la telefonata sta venendo registrata.”
Carlo si precipitò per le scale bestemmiando. Quando Angelo sentì il portone metallico dell’ingresso sbattere chiudendosi, recuperò le chiavi dalla serratura, chiuse la porta, poi prese il cellulare e disse: “Grazie agente, chiudo la chiamata.!
“Dovere, attenda la pattuglia che comunque sta arrivando.”
“Senz’altro.”
Chiuse la comunicazione, mise in tasca il cellulare e appoggiò le chiavi sul mobile dell’ingresso; poi, finalmente, tornò a guardare Kappa che era rimasta impietrita.
Lei lo guardò per alcuni lunghissimi secondi, poi disse: “Ma cosa cazzo hai combinato?”
“Io?”
“Tu, razza di cretino, ma ti rendi conto cosa cazzo hai fatto?”
“Sinceramente…”
“Sinceramente, adesso non posso più andare in giro fuori casa, quello mi ammazza di botte appena mi vede. Ma cosa cazzo sei, un’idiota?”
“Ma cosa ti prende? Innanzitutto, quello che dovrebbe incazzarsi sono io, mi avevi detto che non avevi più problemi con il tuo ex!”
“Eccolo là, già mi hai giudicato, bravo! Complimenti. Non sai un cazzo di quanto è pericoloso quel tizio!”
“A me non ha messo tutta questa paura…”
“E certo abbiamo il supereroe del cazzo qui, bravo! Hai sempre la soluzione a tutto vero? Poi chi sta nella merda sono io!”
“Aspetta…”
“Un cazzo aspetto, ora quello come minimo mi da fuoco alla macchina, quello mi ammazza e…”
“Ho detto aspetta!” urlò Angelo, stavolta davvero a tutto volume.
Katia si ammutolì, Angelo si rimise al volo calzini e scarpe, poi la camicia, e prese la giacca sottobraccio. Aprì la porta e disse semplicemente: “Vaffanculo, e vaffanculo chi ti si scopa!”
Parte V – Del punto della questione
“Grazie Angelo, ma io non credo di meritarmi tutto quello che fai per me.”
“Ma dai lascia stare.”
“Dopo tutti i casini che ti ho combinato, perché ancora mi tratti così bene?
“Vabbè, non esageriamo… sì sei un po’ instabile, però lascia stare dai. Puoi stare qualche giorno qui, non c’è problema.”
“È che lui conosceva i proprietari di casa, e guarda caso quelli all’improvviso non mi hanno rinnovato l’affitto.”
“Basta che non dai la colpa a me per questo, e che sia chiaro che lo stronzo è lui.”
“Ma sì certo.”
Katia si guardò in giro curiosando per l’appartamento di Angelo, ordinato e razionale come il proprietario.
“Se trovassi un modo per essere indipendente economicamente, mi piacerebbe vivere in un appartamento così.”
“Così come?”
“Grande. Ordinato. Pulito… lo pulisci tu?”
“Beh, ogni tanto viene una signora della stessa ditta che fa le pulizie nel condominio a darmi una mano.”
“E la tua ex-moglie?”
“Si è scoperta lesbica, ora vive con la sua compagna a Roma.”
“Ma che dici?”
“Gender fluid come si dice oggi, meglio così no? Tutti contenti!” Angelo sorrise goffamente come suo solito e cercò le sigarette per accendersene una.
“E non ti da fastidio?”
“Per cosa dovrebbe darmi fastidio? Se stava con un altro che c’era di diverso?”
“Ma perché ti ha mentito, a una se le piacciono le donne le piacciono da sempre, non ci si scopre lesbiche a quarant’anni”
“Mah… gli psicologi la raccontano diversamente, comunque a me che abbia una od uno, non me ne po’ frega’ de meno.”
“Mmm.. qualche perversione ce l’hai anche tu, mi sembra.”
“Ah quello è certo, altrimenti non sarei così attratto da te.”
Katia si girò quasi fulminandolo con gli occhi: “Perché, mi stai dicendo che ancora… ”
“Cazzo, Kappa certo che mi piaci. Sono sempre attratto da te, mica è una cosa che si spegne e si riaccende come la stufetta del bagno eh!”
“Allora non sei buono come pensavo, mi fai stare qui perché mi vuoi scopare!”
“Uh che palle, Kappa. Ma non riesci mai a goderti una cosa quando ce l’hai?” Angelo si buttò pesantemente sul divano. “Ti serve un posto? Stai qui. Non ti tocco, io dormo di là… questo è un divano letto.” Si accese la sua Merit e aggiunse ridendo: “Ti assicuro che so controllarmi!”
“Ma sì, non è per quello. È per me.” Kappa si sedette in una sedia distante e si guardò intorno.
“Io sono come lo scorpione di Esopo, Angelo … non l’hai ancora capito?”
“Cioè?”
“Cioè per mia natura sono velenosa, e pungo, e faccio star male la gente e uccido ogni storia sul nascere.”
“Esagerata…”
“No no! So di cosa sto parlando fidati. E già ne hai avuto un assaggio del mio veleno.”
“Ma vabbè, era una situazione concitata…”
“Davvero, Angelo. Io non credo che tu mi potrai mai accettare per quello che sono.”
“E cioè?”
“Una che da problemi, che rovina sempre tutto. Uno scorpione pericoloso.”
“Ma che cavolo…”
“Me lo diceva sempre il mio primo ragazzo… l’unico che abbia mai amato. E l’ho rovinato.”
“Addirittura!”
“Non scherzarci, Angelo!”
“Ok, tu sei uno scorpione. E se ricordo la favola di Esopo lui chiede un passaggio ad una rana per attraversare il fiume. Lei ha paura che la punga alla schiena mentre sta nuotando, ma lui la rassicura e le dice ‘non posso pungerti altrimenti morirei anche io che non so nuotare’. Lei si fida, ma in mezzo al fiume la punge e lei gli chiede perché l’ha fatto se ora moriranno entrambi. E lui le risponde: ‘è la mia natura, non ci posso far niente’. Giusto?”
“Bravo scolaretto, dieci e lode.”
“Beh, sai che c’è? È una fesseria riscoperta dalla filosofia new age del cazzo che va tanto di moda oggi. Il problema di quello scorpione non era che fosse velenoso, quanto che fosse stupido. Ed è una fesseria questa faccenda del ‘mi dovete amare per come è la mia natura’. Certo come no! Cioè dato che questa è la propria natura, vuol dire che tutto deve essere perdonato. Quindi se io ti dicessi: ‘guarda che stasera porto una bambina qui in casa e la uccido, si so lo so, sono un mostro, un serial killer di merda e anche un pedofilo, però mi devi voler bene per quello che sono’ tu mi dovresti perdonare, giusto?”
“Ma che stai dicendo? Che razza di paragone è?”
“È che… se una persona sa di avere un problema, non può pretendere che dica ‘Amici miei belli io ho questo problema mi dovete voler bene per quello che sono!’ Non tutto può essere perdonato, quella persona deve lavorarci su quel problema. Non continuare a comportarsi male.”
Katia rimase in silenzio per qualche secondo, poi si alzò in piedi e cominciò a battere le mani in un applauso ironico. “Bravo. Bravo, proprio bravo. Ottima lezione l’avevi preparata prima o ti è venuta spontanea?”
“Kappa… io parlavo in senso generale!”
“Certo come no? E intanto mi hai dato della stupida, della pazza e di una che deve farsi curare. Bravo!” Si lanciò verso il suo borsone e lo raccolse con rabbia indossandolo a tracolla. Continuò, guardandolo con i suoi occhi ricolmi di odio: “La colpa è mia, che so benissimo quando una persona è così diversa da me che non può capire un cazzo di me e della mia vita. Però io stronza che voglio bene a tutti continuo a dare delle possibilità a tutti.”
“Tu mi stai dando una possibilità?”
“No, non più… te la sei già giocata. Sai che c’è? Fammi risolvere i problemi economici e non disturberò mai più gli stronzi come te.”
“Kappa non…”
Si avviò verso la porta, uscendo ebbe cura di sbatterla tanto pesantemente che il telaio non sarebbe mai stato più quello di prima.
Parte VI – Del piano per la soluzione
Sul perché le sigarette avessero un sapore così diverso dopo il sesso Angelo se lo era sempre chiesto, senza trovare nessuna risposta. E senza neanche cercarla in verità, rappresentava uno di quei misteri che è bello rimangano tali.
Kappa stavolta non si era alzata dopo l’amplesso ma era rimasta al suo fianco e per la prima volta gli appoggiava teneramente la testa sulla sua spalla.
La lasciò fare quando gli sfilò la Merit dalle labbra.
“Dunque Kappa.., mi rispieghi bene la questione?”
“Tu trovi la casa da vendere, io ti indico il compratore. Deve essere una bella casa, da cinquecentomila euro in su. Il compratore, mette il doppio del suo valore di cui metà cash e la da direttamente a te. Questi, una volta che hai dato l’extra a nero al proprietario al proprietario per convincerlo a vendere, il resto sono nostri. Tolti i centomila ci liquido definitivamente quello stronzo di Carlo.”
“Minchia! Centomila euro per Carlo!”
“Ti ho spiegato…”
“Sì Kappa, tranquilla, glie lo devi perché ti ha salvato il culo, ho capito.” Si riprese la sigaretta, aspirò e poi continuò: “Però non capisco perché, questi contatti con i mafiosi…”
“Non sono mafiosi!”
Angelo sbuffò e spense la cicca nel portacenere. “Senti Kappa, io non sono un santo ma non sono neanche uno stupido, pretendo di essere trattato con rispetto va bene?”
“Sì…”
“Allora, da quando mi hai chiamato per questa storia, mi ho sono fatto un quadro abbastanza preciso, anche su come si potrebbe agire… ma non mi far credere che un povero cristo che conosci chissà come e chissà perché abbia mezzo milione di euro in contanti che non sa come spendere, ok? Ho detto mafioso per dargli un contesto, se poi sono della Camorra, dei Siberiani o dei Colombiani non me ne frega nulla chiaro?”
“Certo… in quel senso dicevi… scusa, ho capito. Beh loro sono…”
“Non me lo dire, non lo voglio sapere.”
“Ok…”
“Quello che voglio sapere è come mai Carlo, il tuo ex, questo giochetto non lo può fare da solo.”
“Carlo è bruciato, non si può far vedere in quel giro.”
“E tu…”
“Neanche io, si è bruciato per salvarmi il culo.”
“E allora come hai questo contatto?”
“È un interrogatorio?”
“No, ma vorrei potermi fidare, o so tutto o non se ne fa niente.”
“I giri alla fine sono sempre quelli, io sto nel mondo dell’arte e lì le cose sono più easy… capito no? Non è che tutti sanno quello che succede fra le varie borgate. Insomma c’è questo tizio che piazza i quadri alle gallerie di Roma e mi ha dato questa dritta su chi ha mezzo milione da spendere. Però io lo conosco e di me non si fiderebbe mai.”
“Ma che cazzo hai combinato Kappa…”
“No, di quello che è successo prima non parlo, chiaro?”
“Allora, tanto per dare nome e cognome a quel che vorresti fare, questo si chiama riciclaggio di denaro sporco. Questi signori hanno mezzo milione di soldi che scottano e non possono metterli in banca, quindi che fanno? Acquistano una casa che vale mezzo milione pagandola il doppio del prezzo di mercato. Il doppio tutto compreso, il nero in più e gli intermediari vari di cui la gente per bene, che ha case importanti, si fida. Il doppio che mettono in più è il denaro sporco che devono riciclare. Ovviamente non comprano a caso, ma in una città come la nostra che presto, almeno a giudicare dalle voci, sarà oggetto di riqualificazioni per via della nascente università e del turismo. Quindi aspettano che i prezzi volino, grazie a quel fenomeno noto come gentrificazione, e quello che avevano pagato ufficialmente cinquecentomila euro presto, relativamente presto, lo rivenderanno a ottocentomila. E sul denaro sporco ottenerne il sessanta percento pulito è un ottimo affare. Oppure chissà… una stufetta elettrica difettosa e ci penserà l’assicurazione, fatta per un valore più alto, a fargli arrivare i soldi. Questo è un metodo più rapido, ma più rischioso.”
“Di questo a me non frega nulla. E a te?”
“Diciamo che non me ne frega nulla oggi. Da un po’ di anni a questa parte. Una volta avresti trovato i carabinieri ad arrestarti quando saresti uscita di qua.”
Katia lo guardò con la solita, innata, ferocia. Poi si calmò: “E com’è che non fai più il supereroe, caro Iceman?”
“Perché di questo paese non mi frega più nulla… qui sta andando tutto in malora, mi interessa solo avere un bel po’ di soldi da parte per andarmene.”
“E pensi che basteranno?”
“Beh, facciamo due conti. Penso che con centomila euro extra, esentasse, la casa la posso trovare facilmente. Cento poi sono per il tuo vero supereroe che ti ha salvato il culo dalla mafia..”
“Angelo…”
“La supererò questa cosa prima o poi, tranquilla. Dicevo, siamo a duecento. Io voglio restare pulito, ma ho già chi farà i giri al mio posto…”
“Non ci può entrare nessun altro!”
“Io non devo apparire e non voglio avere contatti personali con certi giri, questo è fondamentale, altrimenti dovrai chiedere a qualcun altro.”
“Ma chi ci va al posto tuo?”
Angelo fece un ghigno, stavolta per nulla goffo, anzi quasi da vero boss.
“Sono avvocato mia cara… risolvo problemi, conosco gente.”
“Alla faccia del supereroe!”
“Supereroe! Mica un santo.”
Kappa rise, era da un bel po’ che non sentiva quella sua risata sguaiata. Gli era mancata. “Comunque alla fine resteranno a noi, diciamo… duecentocinquantamila euro.” Concluse Angelo.
“Che sono centoventicinque a testa. Come ti dicevo non ci vai via da questo paese.”
“No… ma con quelli che ho già da parte sì.” Si fermò un attimo e poi aggiunse: “Certo, peccato che tu non voglia partire con me, con centoventicinquemila euro in più ci sarebbe uscita anche la piscina a Creta.”
Questa volta la lingua di lei non lo colse impreparato.
Parte VII – Dell’inevitabile finale.
Alle 7.30 il treno arrivò puntuale alla stazione Termini, Katia scese con il suo borsone da palestra e una cartella elegante da ufficio che conteneva circa trecentocinquantamila euro in contanti. Qualche spicciolo lo aveva invece messo nel suo portafoglio per le spese di viaggio.
L’aereo per Gran Canaria sarebbe partito alle 13.00 da Ciampino, aveva il tempo per un cappuccino nell’elegante Caffè del piano superiore.
Prese le scale mobili, poi entrò e si sedette. Fece la sua ordinazione e quando le arrivò la tazza fumante pensò al suo Iceman che si sarebbe svegliato da lì a poco e avrebbe realizzato che, di quei soldi che scottavano, gli rimanevano solo le banconote usate per ricoprire il letto sopra alle quali aveva insistito per possederla.
Non aveva certo nostalgia né tanto meno rimpianti, però era contenta di aver fatto ancora del sesso con lui, stavolta soddisfacendo anche le sue perversioni cinefile. Del resto, anche se sapeva come farlo impazzire, per lei non era certo un dispiacere.
Il Lexotan nello champagne poi le aveva dato tutto il tempo di prendere la cartella con il grosso dei soldi e scappare nella notte.
No, nessun rimpianto, del resto più che ripetere costantemente che non si sarebbe dovuto fidare di lei cos’altro avrebbe potuto fare? Pensò sorridendo.
Prese dal portafoglio una banconota da cinquanta e richiamò il cameriere: “Scusami caro, mi potresti portare anche un po’ d’acqua?” Gli disse porgendogli la banconota. Il ragazzo la prese e disse: “Certo, subito.” Tornò a sorseggiare il cappuccino, e aprì sullo schermo del cellulare la piantina di Gran Canaria.
Quando realizzò che il cappuccino era finito ma l’acqua non era arrivata alzò gli occhi. Il cameriere stava parlando con la titolare; si girò verso di lei e la chiamò “Scusi signora può venire un attimo?”
“Signora… non ho neanche quarant’anni, stronzo!” Pensò alzandosi, invece disse mentre si avvicinava di qualche passo: “Qual è il problema?”
“Il problema è che la banconota è falsa, signora. Chi glie l’ha data?”
“Falsa? Ma… ma… cosa cazzo…” Si sentì girare il sangue, si voltò e guardò la cartella poggiata nella sedia del tavolo e corse vero di essa.
“Signora dove va? Dobbiamo chiamare la polizia e fare il verbale!” Ma non lo sentì, era troppo intenta a verificare l’atroce sospetto! Aprì la cartella, sopra le banconote c’era una lettera che aprì con le mani tremanti.
C’era una volta uno scorpione che doveva attraversare un fiume, quindi chiese ad una Rana se potesse portarlo all’altra riva tenendolo sul dorso della sua schiena mentre nuotava.
La Rana gli disse: “Ma tu sei uno scorpione, se mi pungi morirò!” Lo scorpione si mise a ridere: “Ma stai tranquilla, non posso pungerti. Dato che non so nuotare se lo facessi morirei anche io affogando.”
La rana allora, convinta da quella logica, lo fece salire sulla sua schiena. Ma non fidandosi del tutto però, lo teneva costantemente d’occhio visto che gli anfibi e i pesci hanno dei campi ottici così grandi che riescono a guardarsi alle spalle.
Così, come vide che lo scorpione stava caricando il suo colpo mortale, si immerse nell’acqua profonda. Lo scorpione venne portato via dalla corrente e affogò.
Quando giunse dall’altra parte del fiume, un camaleonte le chiese: “Ma non sei stata un po’ troppo cattiva?”
La rana rispose: “Era uno scorpione stupido e velenoso, ed è ora di smetterla di giustificare gli scorpioni stupidi e velenosi.”
Esopo Reloaded.