“Recupera! Prendi fiato, recupera!” Ripeteva Miguel a sé stesso mentre, ansimante, si lasciò crollare a terra.
Nel buio della notte, al lato della strada il suo ventre si muoveva avanti e indietro con cadenza frenetica. “Niente! Non è andato bene un cazzo di niente” si disse. “Sapevano che stavamo arrivando, sapevano da dove saremmo entrati e sapevano anche quanti eravamo noi caballeros”. Aprì il giubbotto e guardò la situazione. La maglia era zuppa di sangue, lo avevano aperto per bene. “Cazzo quanto sangue… non ci arrivo all’ospedale hijos de puta!”
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“Miguel ti prego non andare”
“Ramona, che succede?”
“Ho un brutto presentimento Miguel, stanotte in sogno ti ho visto con Marcelo e dietro di voi c’era la mietitrice che…”
“Ramona, pour el sangre de dios, stai zitta! Tu e le tue visioni da strega”.
“Ascoltami Miguel!”
“No ascoltami tu, con chi hai parlato puta? Hai visto Cleto? O Paco? Paco vero? Ti piacciono i ragazzini! Chi ti ha detto cosa abbiamo in mente?”
“No Miguel tu non capisci, è stato più di un sogno è stato come…”
Miguel alzò la mano a minacciare un ceffone, ma riuscì a trattenersi; poi le ringhiò contro: “Ascolami bene puta! Tu a me queste cazzate non me le racconti va bene? Chi cazzo hai visto oggi che ti ha detto del piano?”
“Piano? Che piano? Miguel, ti giuro che…”
“Non giurare!” Miguel, sputò sul pavimento della sua casa, prese la sua giacca di pelle nera e la infilò con rabbia. Sulla schiena portava lo stemma dei Caballeros de Pancho Villa con l’inconfondibile volto del rivoluzionario messicano. Tanta enfasi idealista, ma in realtà erano solo una delle squadre di narcos affiliate al Cartello di Santa Muerte, che gestiva tutti i traffici illegali del Districto.
“Ascoltami bene Ramona, e non farmi ripetere queste due cose che è tardi, primo: non me ne frega niente se scopi con qualche altro dei caballeros, ma non lo fai in questa casa che è la mia casa! Claro?”
“Miguel, io…”
“CLARO?” urlò Miguel.
Ramona respirò e chiuse gli occhi. “Claro Miguel!”
“Secondo, se qualche coglione mentre ti scopa perde la testa e ti dice anche una mezza cosa di un qualche cazzo di lavoro che dobbiamo fare con i caballeros… beh.. se tu vai in giro a dire quella mezza cosa e lo viene a sapere El diablo tu es muerta. E se non lo viene a sapere El diablo ma lo viene a sapere Marcelo tu es muerta. E se non lo sa Marcelo ma lo so io, tu es muerta lo stesso. Claro?”
“Mig…”
“CLARO?”
Ramona abbassò la testa, non c’era modo di far ragionare Miguel, abbassò gli occhi per non far vedere le lacrime che cominciavano ad uscire e mormorò “Todo claro, Miguel!”
“Allora te lo chiedo una volta sola, sai qualcosa di quel che dobbiamo fare esta noche?”
“No Miguel!”
“Muchos bien! Non aspettarmi alzata che torno tardi!”
“Adios mi corazon, tu non ritornerai!” Disse lei mentre le lacrime solcavano il viso.
Miguel si sentì gelare, si girò e la guardò. Prima ancora arrabbiato, poi cominciò a pensare che probabilmente aveva sempre sbagliato a ridere delle sue arte divinatorie indios. Accennò un passo verso di lei, ma si rese conto che era troppo tardi per qualunque ripensamento. Sputò di nuovo a terra, poi si voltò e uscì incontro al suo destino.
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“Ramona… ” pensò mentre il sangue continuava a uscirgli dal ventre; le ferite da machete raramente lasciano scampo quando prendono gli organi interni, lo sapeva benissimo.
“Ramona, maldida…” Non poteva sperare che gli fosse fedele, sapeva in quali occasioni l’aveva conosciuta e lui non era il tipo che si faceva facili illusioni. Ma sperava che fosse una donna intelligente. E invece… o forse era stata fin troppo intelligente? Quanto l’aveva pagata El diablo? Cosa le aveva promesso per farsi confessare quel che sapeva?
Il dolore lo richiamò alla realtà. El diablo non pagava nessuno, tanto meno le donne. Torturava, seviziava, ti tagliava le dita una ad una fino a quando non parlavi. Ma non pagava nessuno. Ramona non lo aveva tradito… del resto come poteva sapere che i caballeros avevano intenzione di assaltare la forteza per mettere fine al regno di terrore del Diablo?
La forteza, colossale struttura industrale in periferia del Districto, ormai completamente in disuso ma ufficialmente ancora funzionante per produzione di fuochi di artificio; era la copertura perfetta e legale per ogni traffico. Decine di camion entravano e uscivano ogni giorno. Armi, droga, donne, animali esotici. Quasi la metà dei profitti di ogni commercio illegale di Città del Messico veniva da lì. E a gestirla Santa Muerte ovviamente, società che prendeva il nome dalla santa più pregata in Messico, guarda caso lo stesso nome del cartello dei narcos. Stesso nome, Stessa gente, tutto alla luce del sole. Nell’oscurità dei sotterranei della stessa struttura invece la leggenda narrava che ci fossero imbalsamati gli ispettori del ministero del commercio che non si erano accontentati delle bustarelle per guardare altrove.
Quella notte I Caballeros de Pancho Villa avevano deciso di riprendersi il pieno potere sui traffici dopo essere stati costretti con la forza, anni prima, a giurare obbedienza a El Diablo. Avevano fatto trapelare la notizia di un cargo cubano che trasportava armi dirette in Chiapas; un boccone troppo appetitoso per El Diablo che avrebbe mandato i suoi uomini a Manzanillo per uccidere gli zapatisti e rubare le armi.
I quarantotto Caballeros avrebbero avuto una possibilità se dentro la forteza ci fossero stati pochi uomini del Diablo, quindi appena visto partire l’esercito di Suv del cartello avevano deciso di agire, ma era una trappola. Li avevano trovati tutti dentro ad accoglierli.
“Mi amor, te quiero… però tu es muerto, cabron!”
“Ramona!” Aveva sognato? La voce l’aveva sentita davvero… Ramona, amerindia che con i suoi occhi neri l’aveva stregato fin dal primo momento… era davvero una strega? Aveva visto davvero tutto nei suoi sogni? Non l’avrebbe mai saputo, perché un rumore lo richiamò al suo destino.
Erano i chopper degli uomini del Cartello che si accendevano: la caccia finale ai pochi caballeros fuggitivi era cominciata.
“Avremmo dovuto dar retta a Paco! Quel ragazzo è il più sveglio di tutti noi… l’aveva detto di aspettare momenti migliori e più sicuri!” pensò. Controllò quanti proiettili aveva nel suo revolver mentre le prime luci dei fari apparivano nella strada di fronte a lui. Quattro colpi.
Aveva sempre avuto una buona mira, quindi si sdraiò poco fuori dalla strada e appoggiò l’avambraccio destro su di un sasso piatto; l’unico modo per tenerlo fermo visto il dolore al fianco. Aspettò qualche secondo che le luci fossero più vicine, poi sparò il primo colpo e una moto crollò a terra. Sparò il secondo colpo e un altro hijo de puta non avrebbe festeggiato con la tequila quella notte. Anche il terzo colpo andò a segno.
“Due su tre”” disse a se stesso “Un bel modo per andarsene”. Quindi portò la canna del revolver in bocca e sparò l’ultimo colpo.
Sapeva bene che ogni alternativa era migliore di quella di finire vivo fra le braccia del cartello di Santa Muerte.
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Nascosto nell’ombra mentre gli uomini del Cartello si avventavano sui suoi amici Caballeros, Paco era immobile e praticamente invisibile.
Piegò il collo a sinistra fino a che l’orecchio non toccò la spalla, poi lo raddrizzò e ripeté lo stesso movimento sul lato destro. Riportò la testa in asse con la spina vertebrale e poi fece toccare al mento la parte del petto sopra lo sterno. Rialzò il viso senza muovere di un millimetro il resto del corpo.
Le immagini di quella notte nella forteza si sovrapponevano nella sua testa a quelle di quindici anni prima quando iniziò il regno del Diablo.
Sangue che sgorgava dalle gole tagliate, teste staccate a colpi di machete e, immancabili le lance infilate a terra sul lato della forteza che dava ad est, in modo che il sole avrebbe visto come prima cosa le teste dei nemici del Diablo.
“Ora tocca a me” disse sottovoce.
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“Diablo, hai vinto! Lascia che i miei ultimi ragazzi se ne vadano… non ti daranno più fastidio!” Marcelo era disperato e cercava quanto meno di salvare la faccia. Era inginocchiato con le mani legate dietro la schiena nel piazzale principale della struttura.
Ai suoi fianchi due suoi luogotenenti, Ismaele e Cleto, anche loro con le mani legate.
Non c’era Miguel, il suo braccio destro. Lo aveva visto scaricare uno dei suoi revolver contro gli uomini del cartello. Non aveva sprecato un colpo, ma quando si era voltato per tentare la fuga uno degli uomini del Diablo gli aveva aperto il fianco con un machete. Miguel aveva estratto una seconda pistola e ucciso l’uomo… ma difficilmente poteva essersi salvato.
Paco dov’era? Era entrato al suo fianco, ma quando si trovarono sotto i riflettori che illuminavano a giorno il piazzale svelando l’imboscata, non c’era più.
Lui! Lui che era più sveglio di tutti e infatti aveva cercato di dissuaderli ad assaltare perché era troppo pericoloso, lui forse poteva essersi salvato.
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“Marcelo cosa stai preparando?”
“Che vuoi Pamela?”
“Non mi prendere in giro Marcelo, è una settimana che quel cazzo di telefono non smette di squillare. Chiapas, El Diablo, AR-15… sei sempre fuori tutte le notti, cosa cazzo stai facendo?”
“Pamela, è lavoro!”
“Marcelo guarda non ti azzardare a prendermi in giro ti devo ricordare chi sono? Adesso chiamo mio fratello e…”
“Lascia stare Paco! E lasciami andare che è tardi… piuttosto Jean e Juanita dove sono che..”
“Certo io penso ai figli vero? Io sono donna, tu grande macho… Marcelo sei tu che devi pensare che abbiamo dei figli, non fare cazzate!”
“Pamela basta! Io so chi sei e ti porto rispetto, ma tu lo sai cosa significa stare quindici anni sotto El Diablo, o no?”
“Cosa significa Marcelo? Abbiamo una villa, abbiamo dei figli, abbiamo macchine e moto americane, cosa vuoi fare?”
Marcelo sospirò, non poteva prendere in giro sua moglie. Non poteva prendere in giro la figlia di Alfonso Ramirez de Navarra.
“Pamela, tu lo sai che ho fatto di tutto per proteggere te e Paco. Ho ucciso tutti quelli che sapevano che eravate figli di Alfonso anche se… anche se non eravate del suo matrimonio diciamo così, vi ho nascosto e sono stato fedele al Diablo per quindici anni!”
“E non puoi continuare ad essergli fedele?”
“Pamela, quel pazzo è fuori controllo… totalmente! Ha fregato i cubani in Florida e i giapponesi in Perù.. attraversa il confine con il Texas una volta al mese e lo sai perché? Va a rapire ragazzine americane bianche di quattordici anni… non ti dico per farci cosa. Ci stanno tutti addosso… potrebbero arrivare gli yanquee da un momento all’altro. Ormai sanno che è lui che gestisce tutto… potrebbero arrivare a fare una di quelle operazioni alla Rambo che… bum bum bum e siamo tutti morti senza processo!”
Marcelo guardò sua moglie, non l’aveva mai vista piangere e sapeva che non ce l’avrebbe vista neanche in quell’occasione. “Pamela dobbiamo fermarlo noi… prima che sia tardi.”
“Non ce la farete Marcelo, c’è un motivo per cui lo chiamano El Diablo!”
“Ce la faremo. Dai un bacio da parte mia a Jean e Juanita.”
“Daglielo tu visto che vai a morire!”
Marcelo chiuse gli occhi e respirò. La cosa stava diventando una soap melodrammatica e non poteva far tardi. Si infilò quindi la giacca di pelle nera con il volto di Pancho Villa, poi uscì ed entrò nel Suv rinforzato guidato dai suoi uomini.
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El Diablo si girò, guardò Marcelo in ginocchio e non disse niente, stava ripulendo il suo machete.
“Marcelo tu hai mai sentito di un assalto alla mia forteza che sia andato bene?”
“No” disse chinando la testa.
“E hai mai sentito di un assalto alla mia forteza che sia andato male?”
“Come?”
El Diablo, un indio gigantesco dai capelli lunghi e neri, prese uno dei coltelli dall’interno del suo gilet in pelle e lo lanciò, questo si infilò nella gola di Cleto che emise un rantolo e si accasciò al suolo.
Gli uomini del Cartello radunati intorno a loro urlarono per approvazione, avevano già cominciato a stappare le bottiglie di tequila.
Il terrificante indio raggiunse il corpo di Cleto camminando con calma, sfilò il coltello dalla gola di questo e poi con il machete appena pulito staccò con un sol colpo la testa al cadavere.
Di nuovo urla di approvazione che aumentarono ancora quando la lanciò a uno dei suoi scagnozzi che la impilò su una delle lance predisposte per l’occasione.
“Dovevamo dar retta a Paco!” pensò di nuovo Marcelo.
“Dicevo… Marcelo, non hai mai sentito di assalti alla mia forteza che siano andati bene, ma hai mai sentito di assalti che siano andati male?”
“No Diablo, non ne ho mai avuto notizia” disse singhiozzando Marcelo.
“E sai perché?”
“No Diablo, dimmelo tu!”
“Perché nessuno sopravvive ad un assalto alla forteza, non sopravvivrete voi poveri coglioni che strafatti di coca pensavate di farmi fuori e non sopravvivranno neanche le vostre famiglie. Ammazzeremo la tua puttana Pamela e i tuoi due figli e ammazzeremo anche il figlio di questo coglione che ti ha sempre leccato il culo!” Disse El Diablo indicando Ismaele.
“No!” urlò fra le lacrime Ismaele provando ad alzarsi in piedi in un tentativo disperato, ma l’indio, con una rapidità non consueta per la sua mole, calò il machete sul lato sinistro del suo collo aprendogli il corpo fino al cuore come se fosse di burro.
Ismaele cadde in ginocchio. Era già morto quando El Diablo usò lo stesso machete per decapitarlo.
Marcelo piangeva sommessamente ed El Diablo tornò a parlare con lui: “Ti garantisco tre cose Marcelo. La prima è che ora vedrai morire tutti i caballeros rimasti. La seconda è che non sarai così fortunato da avere una morte rapida come Cleto e Ismaele. La terza è che il sole di mezzogiorno vedrà impalate le teste di tutti e quarantasette i Caballeros de Pancho Villa che hanno osato assaltare la mia forteza”.
Le risate dei componenti del cartello di Santa Muerte furono fragorose, la banda si stava preparando a festeggiare la facile vittoria contro i rivali. Si aspettava solo l’assenso del Diablo per dare il via alla fiesta.
“Chi ha tradito?”
“Che hai detto Marcelo?”
“Chi ha tradito? Hai detto quarantasette caballeros, ma noi abbiamo assaltato la forteza in quarantotto… chi è l’hijo de puta che ha tradito?” Marcelo si alzò in piedi e urlò “Diablo, chi è? Devi dirmelo! Almeno questo!”.
El Diablo lo guardò e sorrise. “Ma si, forse ne hai il diritto”, poi alzò gli occhi e fece un cenno.
Un ragazzo si avvicinò al fianco dell’indio e si tolse il cappuccio della sua felpa scoprendo il volto.
“Paco?” Marcelo non credeva ai suoi occhi. “PACO? Maldido! Hijo de puta! Infame!”
Tentò di lanciarsi contro di lui ma due sgherri dell’indio lo costrinsero di nuovo in ginocchio.
“Paco… perché? Eri come un figlio, ti ho salvato da questo pazzo… e tu non volevi neanche che attaccassimo stanotte, hai provato a dissuaderci fino all’ultimo, perché?”
“Potrei dirti tante cose Marcelo, ma non mi sei mai stato a sentire.”
“Perché Paco? Perché? Eri come un figlio… ”
“Vuoi la verità Marcelo? La verità è che non sarei mai potuto arrivare a questa distanza da El Diablo senza di voi!”
Allungò il braccio verso il volto del Diablo e fermò la sua mano a trenta centimetri da esso. Era aperta e tesa verso l’alto come fosse un comando a fermarsi. Uno stiletto di acciaio, sparato da un meccanismo tanto artigianale quanto efficace, saettò dalla manica della felpa e trafisse la fronte di El Diablo finendo la sua corsa nel cervello di questo.
Degli istanti silenziosi sospesi nel tempo che seguirono in quel piazzale si parlò per anni nelle taverne del Districto. Poi El Diablo cadde pesantemente e goffamente a faccia avanti.
Paco prese dalle stesse mani del Diablo il machete e con un colpo gli staccò la testa di netto, poi la brandì verso gli uomini del Cartello ammutoliti.
“Io Paco Ramirez de Navarra, erede in linea di sangue di Alfonso Ramirez de Navarra, colui a cui El Diablo quindici anni fa tolse la vita con un’azione vigliacca, rivendico il diritto del controllo del territorio del Districo. Chi non è d’accordo mi sfidi ora o mai più”.
Nello strano e inaspettato silenzio che seguì ogni narcotrafficante cominciò a fare i suoi calcoli. Le leggende che seguirono parlarono di mezz’ora di silenzio; che a seconda del numero di tequila poteva raggiungere anche l’ora di silenzio. Quando il numero delle tequila cominciava ad impennarsi tendendo a infinito, si trovava sempre chi era disposto a giurare di essere stato preesente ed aver sentito chiaramente “il verso del coyote” nella versione cinematografica di Ennio Morricone, risuonare nella notte. Questo appena prima che i narcos presenti alla forteza si recarono di fronte a Paco e abbassarono il capo mettendo ai suoi piedi il loro machete in segno di sottomissione .
Marcelo fu l’ultimo a venirgli incontro i due si guardarono a lungo e Paco gli disse, “El Diablo non avrebbe mai mandato via la sua guardia di fedelissimi. Quando ha saputo la notizia delle armi per gli zapatisti aveva già contattato dei mercenari a Ciudad Juarez per rubare il carico.”
“Non c’era un altro modo?” chiese Marcelo guardando i corpi dei numerosi caballeros morti .
“Io non l’ho trovato”.
Miguel aveva guidato la rivolta, e questa aveva avuto un esito imprevisto. Non aveva senso rivendicare precedenti gerarchie, quindi abbassò la testa in segno di sottomissione al nuovo padrone del Districto.
Paco si diresse nelle stanze della forteza per la sua nuova vita, mentre Marcelo salì su un chopper in cui qualcuno aveva lasciato le chiavi inserite. Lo accese mentre il sole sorgeva sopra Città del Messico.
Diversi uomini, per cui era cambiato il padrone, stavano ammucchiando corpi da far sparire in un enorme falò.
Marcelo si frugò in tasca trovando delle sigarette. Ne accese una e guardò il sorgere dell’alba messicana.
“Meglio vederla in sella che impalati!” sentenziò a bassa voce, poi ingranò la marcia e diede gas tornando a casa.