[voto 8.1/10]
[attenzione: spoiler inside]
A leggere le recensioni in giro per la rete possiamo dire che ci sono diversi fraintendimenti su questo film, a partire dalla sua presentazione come “il ritorno all’horror di Alejandro Amenàbar”.
Regression in realtà non è un film horror (genere nel quale Amenàbar ha già dimostrato di poter dire la sua con due film come Tesis e The Others), per lo meno se intendiamo l’horror come lo intende il maestro Stephen King, ovvero una storia la cui narrazione è costruita con la più o meno dichiarata volontà di spaventare il lettore o lo spettatore. Questo non c’è nel film se non in alcune scene estemporanee.
Regression è tutt’al più un thriller (e sorvoliamo sulle disquisizioni accademiche sulla confusione nell’uso dei due termini) che affronta il tema della “paura” intesa come fenomeno isterico individuale e di massa; paura che può essere sfruttata da qualcuno per proprio tornaconto personale.
Il film inizia con una frase che fa temere il peggio per noi spettatori: “questa storia è ispirata a fatti realmente accaduti”.
“Ecco fatto” abbiamo pensato, il buon Amenàbar si è venduto alla moda dei vari “The Exorcism of di Emily Rose” o “Paranormal Activity”. E così dopo le prime scene che descrivono gli avvenimenti di questa cittadina statunitense pensiamo che avremo di fronte la “solita” setta satanica e le “solite” forze del male, sconfinando più o meno pesantemente nel paranormale, con il solito ateo che verrà convertito alla fine del film.
Siamo tentati di abbandonare la poltrona, per fortuna resistiamo dando fiducia ai bravi Ethan Hawke, David Thewlis ed Emma Watson.
All’inizio degli anni ‘90 il detective Kenner (E. Hawke) con l’aiuto degli ipnotismi (regressioni) condotti dallo psicologo Raines (D. Thewlis) ricostruisce quanto sembra essere accaduto alla povera Angela Gray (Emma Watson) che racconta al pastore di fiducia di essere stata abusata sessualmente dal padre, il quale non ricorda niente a causa del suo alcolismo, ma ammette che si, forse qualcosa ha combinato.
Con l’aiuto dell’ipnosi viene fuori che il padre di Angela e la nonna di questa avrebbero fatto parte di una setta satanica che abusava spesso della povera Angela e di suo fratello Roy durante riti satanici in cui si sacrificavano anche neonati.
Il tutto è perfettamente compatibile con il fatto che Roy è scappato di casa da tempo e, una volta rintracciato, interrogato (anch’esso in ipnosi) conferma che qualcosa di strano in quella casa succedeva. Le televisioni si precipitano sul caso catapultando Angela in ogni schermo televisivo di America a fianco del pastore di fiducia che invita a combattere Satana. L’unico problema, per il detective non per le tv, è che mancano le prove.
Il “colpo di scena” di cui molti critici accusano la mancanza nel film, in realtà c’è eccome e sta nel fatto di scoprire, tramite l’acquisizione di consapevolezza del detective, che a causa di un isteria di massa tutti hanno creduto alle accuse false di una ragazzina insoddisfatta della propria famiglia (forse giustamente insoddisfatta) che ha fomentato le paure della comunità per il proprio tornaconto. Supportata da chi ha fatto della lotta al demonio una missione di vita pastorale.
Il film è quindi una tremenda staffilata ai benpensanti americani (e del mondo tutto), e ovviamente anche a chi vuole far passare per verità scientifiche pratiche di difficile categorizzazione come la regressione ipnotica e si conclude con una seconda frase davvero appropriata. Questa ricorda che alla fine degli allarmi e dell’isteria di massa avutasi all’inizio degli anni ‘90, prove certe di abusi sessuali su minori da parte di famigerate sette sataniche negli Usa non sono state praticamente mai trovate.
E anche questo dovrebbe far riflettere a lungo i benpensanti ricordando in quali ambienti poi sono stati certamente provati gli abusi sui minori.
Un film coraggioso, onesto e davvero ben girato ed interpretato.