La domanda “C’è vita nell’universo?” può avere oggi una sola risposta ragionevole, ovvero: “Un po’, il sabato sera”.
Chiediamo scusa per la battuta, ma è solo per non prendere troppo seriamente un argomento che causa discussioni al calor bianco fra i believers e gli skeptics molto più delle discussioni fra atei e cattolici sui dogmi mariani.
La nostra posizione è quella che suggerisce il buon senso, siamo ragionevolmente sicuri che in questo momento (ammesso e non concesso che l’espressione “in questo momento” abbia un senso quando si parla di distanze siderali) in qualcuna delle miliardi di galassie esistenti, in alcuni dei miliardi di sistemi solari ospitati da ognuna di questa (numeri che fanno girare la testa come si suol dire) sia molto probabile la presenza di esseri viventi con una coscienza e un’autocoscienza simili alla nostra. Magari non troppo simili, lo speriamo per il bene di quei pianeti.
Tuttavia tenendo conto di come progredisce il nostro sapere e la nostra tecnologia (l’Homo Sapiens è presente sulla terra da duecentomila anni circa) troviamo altamente improbabile che sia possibile nel corso dell’esistenza di una civiltà terrestre incontrare civiltà extraterrestri.
Usiamo il termine terrestri in quanto ci siamo affezionati, ma vale la stessa probabilità per una civiltà sul pianeta Tatooine di incontrare altre civiltà extratatooinensi. A meno che il deus ex machina della galassia che ospita Tatooine non sia effettivamente George Lucas… ma qui stiamo divagando. È facile che capiti quando si parla di Spazio-Tempo, e per fortuna non affronteremo qui i viaggi nel tempo.
Insomma, tenendo presente che in duecentomila anni di storia umana non siamo riusciti ad arrivare oltre la Luna, se paragoniamo un giro della nostra Galassia a un viaggio Roma – Sidney, significa che ancora non siamo neanche usciti di casa.
Quindi riteniamo davvero improbabile che due civiltà in galassie diverse e distanti riescano ad avere contemporaneamente i mezzi per superare lo spazio che le divide in un tempo congruo prima che una delle due si estingua.
Ma indipendentemente da questo l’idea di far conoscenze aliene ha sempre stimolato l’immaginario umano, e non pensiamo sia troppo inappropriato pensare che lo stimolo sia aumentato con la rivoluzione copernicana quando abbiamo cominciato ad intuire la grandezza del cosmo.
Lo ha stimolato così tanto che, anche prendendo qui in esame solo gli alieni cattivi ovvero i protagonisti del sottogenere fantahorror, è impossibile fare un percorso temporalmente lineare su ciò che è venuto prima e cosa ha influenzato cosa nella sci-fiction a tinte gotiche. Cercheremo semplicemente di fare una carrellata su ciò che ci ha più colpito in narrativa e nel cinema.
A livello storico indubbiamente il romanzo che da il via alla paura degli alieni resta il libro La guerra dei mondi di H.G. Wells (1897) la cui celebre radiodiffusione di Orson Welles scatenò il panico a New York nel 1938.
Di certo i tripodi guidati dagli extraterrestri che sembravano inarrestabili fino allo scontro biologico con i virus e i batteri del pianeta Terra resta una delle idee più geniali per la risoluzione del conflitto contro un’armata aliena superiore in tecnologia e sapienza e apparentemente irresistibile. Si lo ammettiamo, conosciamo la critica! Degli alieni in grado di viaggiare nelle galassie un qualche tipo di batteri li avrebbero dovuti già aver incontrati nei loro vagabondaggi… ma concediamo la sospensione dell’incredulità: il libro vale a livello letterario e il panico che scatenò la sua lettura in radio ne è la prova.
Il primo omonimo adattamento al cinema è del 1953 ed è uno dei titoli depositati al National Film Registry della biblioteca del Congresso degli usa. È del 2005 invece il remake, senz’altro godibile, fatto da Steven Spielberg con Tom Cruise nei panni del protagonista terrestre.
Se in Indipendence Day (americanata pazzesca, ma irrinunciabile per gli appassionati del genere) l’idea dei microrganismi terrestri killer degli alieni viene aggiornata con un virus informatico, in Mars Attack, uno dei film che preferiamo del geniale Tim Burton e parodia di tutto il genere, i microrganismi vengono sostituiti dalle canzoni di Hank Williams i cui acuti country fanno scoppiare la testa agli invasori.
Ma l’invasione aliena più gotica vista al cinema resta quella dei terribili baccelloni de “The invasion of Body Snatchers” (letteralmente “L’invasione dei ladri di corpi”), tradotta in italiano come L’invasione degli ultracorpi per il film originale del 1956 diretto da Don Siegel. Per il remake del 1978 diretto da Philip Kaufman, omonimo in originale, si è scelto di tradurlo come Terrore dallo spazio profondo… forse per portare fuori strada i cinefili italiani, chissà.
Il cast di quest’ultimo vede Donald Sutherland, Leonard Nimoy, Jeff Goldblum e Robert Duvall fra i protagonisti e, per questioni anagrafiche è quello a cui siamo più legati anche se la paranoia della “sostituzione” dei corpi con entità aliene (magari comuniste) è molto più comprensibile se si pensa agli anni ’50 americani. Scommettiamo però che l’urlo finale di Donald Sutherland nel 1978 ha comunque tormentato le notti di molti incauti spettatori.
A proposito della suddetta paranoia, il tema dell’alieno nascosto fra di noi è stato proposto spesso nella mitica serie Ai confini della realtà, sempre in bilico fra censure e lodi perché costringeva gli americani a guardare in faccia le loro paure nascoste. Vero e proprio cult che ha influenzato tutti i più grandi scrittori e registi contemporanei, ne consigliamo sempre la visione ad ogni aspirante scrittore/regista/sceneggiatore perché, a nostro modo di vedere è l’emblema di come l’idea possa terrorizzare (o almeno sorprendere e creare suspense nello spettatore) molto più di qualunque effetto speciale.
Dobbiamo riconoscere però che a volte la carenza di questi penalizza alcuni vecchi film, anche la serie tv cult degli anni ’80 Visitors ha questo problema e forse è poco appetibile ai più giovani.
Sono invece proprio i nuovi effetti speciali a decretare il successo dei cattivissimi alieni di John Carpenter (La cosa) e di Ridley Scott (Alien), quest’ultimo aiutato da Carlo Rambaldi nel creare la creatura xenomorfa.
Se il primo pone la sfida forse nel luogo più alieno della terra, ovvero l’Antartide e riprende il già citato tema della paura e la diffidenza nell’altro grazie al potere mutaforma dell’alieno; il secondo porta l’orrore nello spazio profondo (“nello spazio nessuno può sentirti urlare” era lo slogan azzeccatissimo), anche se, più della cattivissima regina aliena nelle cui vene scorre l’acido molecolare al posto del sangue, il vero terrore è dato dalla misteriosa “compagnia” proprietaria dell’astronave disposta a sacrificare chiunque pur di avere un’arma del genere da poter studiare.
Tuttavia ciò che rende veramente angoscianti gli alieni creati da Ridley Scott è che, così descritti, sembrano quel che in biologia potrebbe essere considerata la specie dominante definitiva, con la salvaguardia della specie messa davanti a ogni prerogativa del singolo, con una struttura sociale simile a quella delle api o delle formiche e tuttavia un’intelligenza pari a quella umana se non superiore. Se il seguito Aliens di James Cameron approfondisce la questione e lascia spazio per continuare a farlo, Alien3 di David Fincher la chiude in modo brusco riportando l’attenzione sulla razza umana e le sue psicosi, tutte raccolte simbolicamente nel pianeta prigione/monastero, quando si messi di fronte ad un estraneo indesiderato (e cattivo).
Possiamo senz’altro considerare quel terzo capitolo la fine di Alien (per ora) perché di certo il quarto non è all’altezza. Così come non lo sono stati i prequel dello stesso Ridley Scott: se Prometheus, nonostante delle forzature di trama clamorose, prometteva comunque bene difficilmente quella narrazione potrà rialzarsi dopo il pessimo Covenant.
A portare avanti la questione dell’alieno xenomorfo come step successivo dell’evoluzione invece sono stati una serie di bellissimi fumetti della Dark Horse Comics che, ignorando il terzo capitolo di Fincher, ripendono Ripley, Newt, Bishop e Hicks (ovvero i sopravvissuti del secondo capitolo) e ci regalano un’appassionante saga più congrua con i primi due episodi. Questa arriva fino a sviluppare il crossover con la serie Predator, anch’essa cult cinematografico degli anni 80, crossover poi verrà ripreso al cinema da Paul W.S. Anderson.
Riprendiamo in mano qualche libro: Cronache Marziane di Ray Bradbury è uno di quei libri che bisogna leggere per forza e quando lo fate, in genere, si scopre che c’è un buon motivo per cui vi dicono che lo dovete leggere per forza; gli alieni (se si possono chiamare così) di H.P. Lovecraft sono decisamente al di fuori di ogni possibilità di essere contrastati dalla razza umana, bisogna solo sperare di non svegliarli mentre dormono nel sottosuolo o in Antartide altrimenti il mondo è spacciato; quelli di Philip K. Dick variano molto, dalle spore fluttuanti de Il mondo che Jones creò che non avrebbero voluto farci niente di male ma a forza di ucciderli la Lega dei patrioti farà intervenire entità più potenti che sigilleranno la Terra per sempre, ai Marziani rinchiusi dagli umani in apposite riserve (Noi Marziani), a quelli cattivissimi che vengono da Alpha Centauri (Impostore); quasi totalmente assenti gli alieni nella fantascienza di Isaac Asimov invece che condivideva il nostro punto di vista iniziale; ultima menzione per i marziani comunisti di Bogdanov e il suo Stella Rossa recentemente tornati in auge grazie ai Wu Ming e al loro ultimo romanzo Proletkult. (Da poco in download gratuito sul loro sito)
Tornando agli alieni cattivi cinematografici, qualche menzione per quelli che non ci sono piaciuti molto: Signs di M. Night Shalyman è uno dei film meno credibili della storia, così come In a quiet place di cui non riusciamo proprio ad accettare la premessa (di fronte a mostri alieni dall’udito ultrasensibile i sopravvissuti umani scelgono di andare a vivere in campagna a piedi nudi), voti bassi sul nostro personale cartellino anche per le invasioni proposte in Skyline e per La quinta onda.
Riteniamo che i film più interessanti degli ultimi anni sul tema sono invece: Brightburn – L’angelo del male che ipotizza l’arrivo sulla terra di un superman rovinatosi eticamente per i suoi problemi adolescenziali con conseguenze nefaste per il nostro pianeta; la bellissima a trilogia di Cloverfield prodotta di J.J. Abrahms, dopo il primo capitolo in stile mockumentary (uno dei pochi che ci piacciono con questo stile) che narra del godzillone invasore di New York si sviluppa prima in un meraviglioso thriller claustrofobico 10 Cloverfield lane con John Goodman e poi nella fantascienza paranoica di The Cloverfield Paradox (è vero siamo stati fra i pochi ad apprezzare questo terzo capitolo, ne prendiamo atto e comunque nel 2021 dovrebbe uscire un nuovo capitolo, pandemie permettendo); carino ma lascia l’impressione che si poteva fare di meglio Oblivion con Tom Cruise e Morgan Freeman; eccezionale invece District 9 di Neil Blomkamp che è una bellissima denuncia contro il razzismo.
Avevamo detto di limitarci al fantahorror ma vogliamo concludere questa carrellata di Humans vs Aliens inserendo un po’ a forza un film datato e secondo noi troppo sottovalutato almeno in Italia. Parliamo di Enemy Mine, film di Wolfgang Petersen tratto dall’omonimo romanzo di Barry B. Longyear. L’umano Dennis Quaid e l’alieno Louis Gosset Jr (irriconoscibile sotto il pesante trucco da rettile) precipitano su un pianeta sconosciuto e ostile dopo una delle tante battaglie spaziali per la conquista della galassia fra le due razze. Quello che succederà fra loro vale più di mille discorsi sulla tolleranza, sulla necessità del rispetto e dell’empatia verso il prossimo, sull’inutilità di tutte le guerre, sulla stupidità del razzismo.
Lacrime inevitabili, gli applausi anche. Un remake che lo attualizzi e lo consegni alle nuove generazioni sarebbe davvero auspicabile.