Se c’è una competizione sportiva in cui il contorno, il tifo, la tradizione e le maledizioni contano spesso più degli effettivi valori in campo quella è la Coppa dei Campioni/Champions League.
Le “maledizioni” direte voi? Tu che ci parli di maledizioni? Sì, nel senso che quando si desidera troppo un trofeo per tanti anni poi la tensione ti blocca i muscoli, ti ottenebra la mente, fatichi il doppio dell’avversario e alla prima volta che sei in difficoltà vai a picco.
Per la seconda volta consecutiva la “maledizione champions” colpisce il Manchester City: lo scorso anno sconfitto in finale dal Chelsea che non valeva la metà della squadra di Guardiola e quest’anno fermato in semifinale da un Real Madrid a cui ha concesso sei gol in due partite dominate, sbagliandone almeno altri dieci oltre ai cinque che ha segnato. Il risultato “on aggregate”, Real 6 – City 5, dice tutto sulla spietatezza del calcio: l’unico sport in cui nel giro di un minuto può capovolgersi la partita. All’89mo minuto i blu-sky di Manchester vincevano uno a zero e già si vedevano entrare allo stadio di Parigi per la finale contro il Liverpool. Al 91mo perdono 2 a 1, non hanno neanche capito cosa sia successo e per loro c’è da ricominciare da zero, in tempi supplementari in cui umanamente non avevano gambe e testa per giocarli. Sì. certo, c’è stato anche il caso di Italia Germania nei mondiali di Messico ’70, ma forse è stato un caso più unico che raro.
Da certe sconfitte non ci si riprende più, o quasi. Dai gol di Magath alfiere di uno sconosciuto Amburgo quando a Torino c’erano casse e casse di Champagne ad aspettare trionfalmente Platini & co. Da Grobbelar che fa la scimmia sulla riga di porta facendoti sbagliare i rigori in casa davanti a centomila tuoi tifosi. Da Lippi che perde tre finali su quattro perché in finale, chissà perché deve cambiare la formazione della squadra che ha funzionato benissimo fino a quel momento.
Poi ci sono le cessioni geniali, a cui non puoi dire di no, che ti ripianano il bilancio. Certo, si sa che il fair play finanziario in Europa è una delle tante barzellette che ci raccontano, ma chiedetevi un po’ quanti anni sono che Modric e Benzemà giocano con il Real Madrid? Dovrebbe chiederselo la Juve che si accinge quest’anno a regalare l’unico talento puro che ha, oltre a Chiesa, alla concorrenza. Se i soldi di Zidane e Pogbà non portarono coppe, di certo non le porterà la cessione di Dybala a parametro zero.
Ecco, se c’è una cosa che ci meritiamo noi juventini è la maledizione in champions; non solo perché non impariamo mai (a quanto venderemo Vlahovic fra un paio d’anni?) ma anche perché abbiamo sulla coscienza l’allontanamento di gente seria come Ancellotti, perseguitato a Torino dai tifosi perché aveva il grave torto di aver giocato con Roma e Milan.
In due anni da allenatore juventino ottenne due secondi posti. Uno dietro alla Lazio che vinse solo grazie al suo capo ultrà che arbitrava nella piscina di Perugia e uno dietro alla Roma imbattibile di Capello e Totti e Batistuta.
Ma per la Juve non è sufficiente arrivare secondi, si sa! E infatti dalla sua cacciata: champions vinte dalla Juve 0, da Ancellotti 3.
Il tutto riassunto in uno striscione vergognoso che ancora grida vergogna.
In bocca al lupo Carletto, occhio però che il Liverpool non ha maledizioni pendenti, anzi…