Horror, In evidenza
È dietro di te!
Pubblicato il 9 Dic 2020
Scritto da Alessandro Chiometti
Tags: alessandro chiometti, horror, racconti
Davvero volete ascoltare di nuovo questa storia? Perché? Non mi avete mai creduto, altrimenti non starei qui da un anno… un anno vero? Quanto tempo è passato? Quattordici mesi… ‘fanculo.
“Ci convinca?” cosa vuol dire ci convinca? Io non ho mica elementi nuovi, lo vedete dove sono rinchiuso? Siete voi che dovevate trovare gli assassini, oppure trovare le prove per dichiararmi colpevole… ma non ce l’avete, altrimenti non sarei in un manicomio ma in un carcere giusto?
Che cazzo vuol dire che i manicomi non esistono più… cosa credete che sia questa struttura sanitaria dove rinchiudete gli schizzati pericolosi come me?
Va bene, va bene ho capito… volete riascoltare la mia storia… chi siete voi? Polizia investigativa scientifica, figo! Oh, se ne fanno un film poi si fa a metà, chiaro?
Non avete voglia di scherzare, che permalosi. Sapeste quanta ne ho io di voglia di scherzare.
Va bene, ce l’avete una sigaretta? Come non si può fumare? Salutisti di merda!
Ecco quello che è successo. Quello che ho visto succedere. Quello a cui non avete mai creduto.
Lo confesso. I bambini non mi sono mai piaciuti.
Non giudico chi li ha, ci mancherebbe. Ma a me non piacciono. Volete marmocchi? Cavoli vostri.
Io no. Siamo già troppi su questo pianeta. L’avevo detto anche a Laura, la mia ultima compagna, “Se vuoi un figlio non contare su di me!” E infatti, ciao ciao Roberto, un anno dopo era già all’altare con la pancia gonfia a dire: “Sì, lo voglio!”
Nella mia ostinata vita da single cercavo sempre di evitare quelle serate con le coppie di amici sposati, specialmente se avevano bambini. Anche perché ogni volta che ci andavo provavano a rifilarmi qualche amica zitella… e se sono zitelle a quarant’anni c’è sempre un motivo.
Va bene, sono frasi fatte del cavolo lo so. Ma stare qua dentro non fa mica bene all’umore, sapete?
Ad ogni modo… quella volta Alex aveva insistito tanto: “E dai è il compleanno di Silvia, e dai ci fa piacere…” e dai e dai e io ho ceduto; ma ero pronto al peggio.
Infatti, neanche il tempo di entrare e farle gli auguri che Silvia mi incalza: “Ciao Roberto lei è Federica, una mia amica single!”
Sì certo, single; ma divorziata e con figlio di sei anni a carico. Non faceva per me.
Il suo piccolo mostro si chiamava Cesare, poi ovviamente c’erano Tommaso e Sara figli dei padroni di casa, entrambi di nove anni. E non potevano mancare Paolo e Lucia con la loro coppia di diavoletti della Tasmania. Augusto di otto anni e la più piccola del gruppo Samantha di sei anni… Samantha…
No, non mi distraggo è solo che ogni tanto mi sembra di essere ancora lì, e non è bello. E no, non potete immaginarlo. Fidatevi.
La cena era finita, ed era stata piacevole, tutto sommato, perché Silvia aveva messo a mangiare i bambini in un’altra stanza rispetto alla nostra. Ma una volta finito di mangiare i mostriciattoli avevano cominciato a correre ovunque; le loro urla erano insopportabili e aumentavano di volume appena uno di loro si metteva a frignare solo per aver ricevuto una spintarella un po’ più forte del solito.
Silvia per dare il tempo ad Alex di preparare il caffè cercò di organizzare qualche gioco collettivo, era sempre bravissima in questo. Io ero lì, in attesa della mia tazzina di miscela arabica, equa e solidale come amava ripetere il padrone di casa mentre riempiva la caffettiera, che pensavo a quale scusa utilizzare per svignarmela subito dopo… quando Samantha mi piazzò davanti agli occhi un foglio scarabocchiato.
“Cos’è?” mi chiese.
“Tesoro, tu chiedi a me cos’è?” ribattei io. E lei prontissima “Sì, è un gioco!”
Alzai gli occhi con espressione interrogativa e per fortuna Silvia venne in mio soccorso: “Sì Roberto, loro hanno disegnato qualcosa presente in questa casa e tu devi indovinare che cos’è”.
“Ah, ma che splendido gioco!” dissi, sperando di non far trapelare il “Che palle!” che sorgeva in me spontaneo.
Oh… Non ci posso far niente, ve l’ho detto. Anche quando ero bambino detestavo i bambini.
Ad ogni modo, riguardai meglio il foglio e c’era questa massa informe con i colori rosso, verde e blu.
“Beh questo è indubbiamente… un… un coso!” dissi io e Samantha rise di gusto “Ma no zio, non è un coso!”.
“Zio un cazzo!” pensai, ma continuai a stare al gioco “Eh… se non è un coso, allora… allora mamma Silvia ha comprato un quadro di arte moderna negli ultimi tempi!”
Stavolta risero i genitori mentre Samantha riprese il foglio infastidita: “Ma no zio guarda dietro di te, sono i gomitoli di lana!”
Ed effettivamente dietro di me in bella mostra sopra al camino c’erano dei grossi gomitoli di lana con tanto di ferri da maglia in un cesto di vimini. Un gomitolo rosso, uno verde e uno blu ovviamente. Nel frattempo gli altri bambini stavano invitando gli altri adulti a indovinare quello che avevano disegnato. Uno di loro aveva disegnato un telefono, un altro un frigorifero.
Mentre pensavo che Silvia ci sapeva proprio fare con i bambini arrivò Augusto a scuotermi la gamba. Mi porgeva un altro foglio.
Presi in mano il disegno svogliato, ma rimasi subito a bocca aperta. I tratti neri del pennarello, che sembravano usciti da una mano decisamente più adulta, mostravano l’abbozzo di un volto… no, non di un volto… tratteggiavano una maschera anonima per comparse teatrali.
I segni esterni al perimetro della maschera erano zigzaganti e quasi continui, ma con diverse sfumature dando perfettamente l’idea dello sfocato; gli occhi di quella maschera erano ellissi ben definite e, come la bocca sottile, erano laghi di oscurità nel bianco della maschera.
“Accidenti!” dissi, “Lucia hai un figlio talentuoso nel disegno eh? Guarda che maschera che ha disegnato!”
Lucia si voltò perplessa e mi fa: “Ma che dici Robe’? Augusto è bravissimo a pallone e con i Lego, ma non disegna quasi mai, è proprio negato!”
“Beh mia cara, si vede che ha sviluppato delle qualità, guarda qui che lavoro!” e le passai il foglio. Lei guardò la maschera disegnata dal figlio e rimase stupita. Chiamò il marito: “Paolo! Paolo! Guarda tuo figlio che disegno che ha fatto!” e subito i due cominciarono a parlare di quale scuola artistica poteva fare il figlio.
Li ascoltai un poco, ma Augusto era ancora lì davanti a me, allora gli chiesi: “Dove hai trovato quella maschera, piccolo?” E lui, come se fosse la cosa più normale del mondo mi risponde: “Non è una maschera zio, è il signore dietro di te!”
Sapete quando lo spavento ti fa sobbalzare come un gatto? Mi alzai di scatto girandomi e la luce si spense proprio in quel preciso istante, presi in pieno la sedia al buio e cadendo a faccia avanti sbattei la fronte sul tavolino di legno massello. Blackout. KO. Fate entrare i secondi… goffo come mister Bean… che ridere eh?
No, non c’è niente da ridere… giusto!
Mi svegliai con Alex che mi premeva il ghiaccio sulla fronte dove avevo un bernoccolo colossale, lo sentivo anche senza toccarlo con la mano.
“Come va? Come stai Robe’? Andiamo all’ospedale?”
“Ma no che ospedale… ora mi riprendo, tranquilli” avrei voluto dire ma non riuscivo a coordinare le parole, Alex non mi capiva… mi guardai intorno e… lui era lì! Capite? Lo vedevo dietro a Federica, lui in piedi con la sua maschera bianca. Gridai, ma loro non mi sentivano o forse ero io che non riuscivo a far uscire le parole dalla mia bocca.
Federica… lei era in ginocchio davanti al suo Cesare, lui mostrava il proprio disegno alla mamma… e quando lei finalmente guardò il foglio la sua espressione cambiò rapidamente e cominciò a chiamare gli altri, mentre io continuavo ad urlare: “È dietro di te! È dietro di te!” ma loro nulla. Non mi sentivano.
Si preoccupavano solo del disegno di Cesare che mostrava la stessa maschera disegnata da Augusto. Disegni identici, troppo identici, non è normale. Lo stanno dicendo che non è normale. Lo stanno dicendo… voglio dire lo stavano dicendo…mio dio… ancora li vedo vivi… eccoli.
Federica si gira verso suo figlio e gli chiede “Cosa è tesoro?” E lui: “È il signore dietro di te, mamma!”
Federica si volta e la luce si spegne di nuovo.
Poi lei urla, un urlo agghiacciante e disumano. Mi si gelano le ossa. Cominciano ad urlare anche gli altri, rumori confusi e poi… poi torna la luce.
Ora li vedono tutti. Cinque individui, tre uomini e due donne, in piedi di fronte a loro con le maschere bianche. Uno di loro mostra, tenendola per i capelli, la testa di Federica stravolta in urlo eterno e straziante di paura.
Per terra c’è il suo cadavere decapitato.
Urlano. Scappano. Si spegne la luce di nuovo.
Nella penombra vedo l’orrore… l’orrore! Scene terribili, degne di un artista folle del medioevo. Il loro sangue mi ricopre. È caldo. Realizzo che è sangue caldo e comincio a urlare. Metto le mani sugli occhi e urlo a squarciagola insieme a loro che stanno morendo… urlo, fino a quando non rimango l’unico a urlare.
Allora tolgo le mani dagli occhi, li vedo tutti e cinque di fronte a me, coperti dal sangue dei miei amici. Non riesco a parlare, spero che mi uccidano velocemente e di non sentire dolore. Invece loro si incamminano verso la porta vanno via. L’ultima si gira e con una voce acuta e stridente mi fa “Grazie per averci liberati, zio Roberto”.
E ora ditemi, pensate che ci sia stato un solo minuto in questi mesi passati qui dentro in cui io non abbia risentito quella voce… la voce della piccola Samantha?