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Cento canzoni di cui parlare: “Time”

 

 

[004/100]

Estate 2002. Porto Vromi, Zante, Grecia.

Uscito dal mare dove vedevo la mia ombra proiettarsi sul fondo, dieci metri più in basso, mentre nuotavo, mi siedo  nella panca di legno di un baretto rimediato con una roulotte scassata qualche metro sopra quella fantastica insenatura. Qualche copertura improvvisata a  gettare ombra sui tavolini, le rocce gli alberi, il sole che comincia a virare sull’arancione nella sua fase discendente, la mythos fredda, il pacchetto di patatine aperto, il meltèmi che continuamente rinfresca l’estate.

Sospiro, penso che fra un paio di giorni dovrò lasciare l’isola e mi viene in mente che se ci fosse un po di bella musica nell’aria sarebbe veramente l’istante perfetto per ricordare la mia prima estate in Grecia.

Suona una sveglia… ma la paura che fosse stato solo un bellissimo sogno era infondata, perché era la sveglia che da l’inizio a “Time” quarta traccia di “The Dark Side of the Moon” ottavo album in studio dei Pink Floyd. Alzo il pollice in segno di approvazione, chiudo gli occhi. Perfetto.

Se “The dark side of the moon” [1] è il disco più bello di tutta la storia del rock e quindi anche dei Pink Floyd (ovviamente stando alla mia indiscussa onniscienza) si potrebbe forse dire che ci sono canzoni migliori dei Pink Floyd (poche) rispetto a Time. Forse “Wish you were here” o “Comfortably numb” o “Shine on you crazy diamond” [2] ma fatto sta che Time seguita da quel capolavoro vocale che è “The great gig in the sky” ed incastonata nella perfezione dell’album simbolo del gruppo inglese [3] rappresenta, insieme ad esso l’apogeo della musica rock degli anni 70. Più dell’hard rock degli Who o dei  Led Zeppelin, questi autori forse della canzone più bella di tutti i tempi (non vi devo dire qual’è, giusto?), più del rythm’n blues dei Rolling Stones, più dei visionari lavori dei Genesis e dei Jethro Tull e anche più delle splendide prove vocali di Freddie Mercury con i Queen e dell’impegno politico di Bob Dylan.

Time è la riflessione del trentenne Roger Waters sui suoi venti anni e sulla sua generazione e ciò che racconta è sorprendente per la semplice complessità con cui descrive la difficoltà di un ragazzo comunicare e realizzarsi. Ed è per questo che il pezzo è semplicemente immortale e sembra scritto ieri.

Open your ears guys and dolls. (Questa traduzione è del sottoscritto: a questo proposito molte volte si tende a tradurre una canzone quasi come se fosse possibile ricantarla, io preferisco cercar di rendere l’idea dell’autore a scapito della metrica in italiano, che comunque sarebbe inutile)

Il ticchettio dell’orologio segna lo scivolar via di quei momenti che rendono un giorno noioso,
sciupi e sprechi le ore in modo superficiale,
sbattendoti nei confini di un pezzo di terra della tua città,
aspettando qualcosa o qualcuno che ti mostri la via.

Stanco di oziare alla luce del sole ti chiudi in casa e guardi la pioggia,
sei giovane, la vita è lunga è ce n’è di tempo da uccidere oggi,
ma poi, un giorno, ti trovi con dieci anni in più alle spalle,
nessuno ti ha detto quando iniziare a correre e hai perso lo sparo di partenza.

E tu corri e corri per raggiungere il tuo sole ma questo sta andando giù,
correndoti attorno per sorgerti dietro ancora una volta,
il sole è relativamente lo stesso ma tu sei più vecchio,
a corto di fiato e un altro giorno più vicino alla morte.

Ogni anno diventa più corto, non sembri mai trovare il tempo,
i tuoi piani che non si realizzano o che diventano una mezza pagina di scarabocchi,
sei appeso a un tranquilla disperazione, questo è quello che si chiama “la via inglese”.
Il tempo è andato, la canzone è finita.
pensavo di aver da dire qualcosa in più. 

[Ndr: la canzone “Time” potrebbe effettivamente finire qui, ma Waters ci regala ancora due strofe sull’assolo di chiusura, strofe che sembrano slegate dal contesto, ma che poi ragionandoci sopra è abbastanza chiaro che è la descrizione dell’english way a cui lo stesso Waters sembra non essere capace di sottrarsi.]

Casa. Sono di nuovo a casa.
Mi piace essere qui quando posso.
Quando arrivo a casa stanco e infreddolito,
è bello riscaldarmi le ossa vicino al fuoco.
Da lontano, al di là dei campi,
arriva il suono della campana di ferro,
che richiama i fedeli ad inginocchiarsi,
per sentire la dolce voce raccontare l’incantesimo.

TIME SU YOUTUBE

[1] TDSOTM è uno degli album più veduti del mondo con oltre 50 milioni di copie, insieme a
“Back in Black” degli AC/DC e “Thriller” di M. Jackson e alla colonna sonora di “The Bodyguard” di W. Houston. A seconda delle fonti la posizione dei quattro cambia, anche se Thriller in genere è quasi sempre al primo posto. Il record assoluto di TDSOTM sono però le settimane di presenza nella classifica vendite americana di cui 742 consecutive dal 1973 al 1988 che sono poi arrivate a 1100 nel 2014.

[2] “Time” non è mai uscita come singolo, i singoli di quell’album furono “Money” e “Us and them“; in particolare il primo singolo cambiò per sempre la dimensioni dei Pink Floyd trasformandoli da gruppo “di nicchia” a un gruppo da maxi concerti negli stadi.

[3] Qualcuno storcerà il naso ritenendo che l’album simbolo dei Pink Floyd sia “The Wall” ma personalmente ritengo quello più opera di Roger Waters che dell’intero gruppo.
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Le altre canzoni:

Sornione
Velasquez
L’avvelenata